La Critica

San Giorgio e il Drago

di Luigi Ciorciolini
"La funzione dell'occhio è la funzione dell'anima" (P. Virilio)

L'affermazione di Virilio è vera ed è vera in molti e diversi modi. Vorremmo iniziare da questa frase una esplorazione che tenga presente le sollecitazioni contenute sia nell'editoriale di Enrico Cocuccioni sia nell'approfondito e puntuale contributo di Martina De Fabrizio: il punto di vista e il glossario.

È successo che nelle conversazioni libere (per capirsi quelle senza l'obbligo della citazione o, ancora meglio, a seguito di una citazione sbagliata, piegata a quello che inconsciamente si aveva bisogno di capire) ci si sia posta la domanda: in un'epoca di tale accelerazione del mutamento legato alle tecnologie digitali che cosa rimane certo?

Quella che segue è una mappa personale, non strutturata, di un'esplorazione in questa direzione, in un territorio che, nonostante l'assunto, comunque si muove a causa, come vedremo, di dinamiche interne ma principalmente per dinamiche esterne.

Partiamo dall'analisi che Petitot [1] fa del quadro che Paolo Uccello dedica al combattimento tra San Giorgio e il Drago, il secondo dei due dedicati al tema, quello con il Drago sulla sinistra. Innanzi tutto il tema: San Giorgio è il corrispettivo cristiano di Perseo ma rispetto all'eroe greco il suo curriculum è brevissimo. Originario della Cappadocia il guerriero cristiano è sulla via di casa quando viene a sapere del rapimento della Principessa da parte del Drago. Immediatamente parte per l'impresa e l'iconografia di tutte le epoche lo rappresenta nel momento del suo trionfo sul Drago.

Dipinto di Paolo Uccello che raffigura San Giorgio e il Drago

Il dipinto di Paolo Uccello è ripartibile innanzitutto tracciando una linea verticale a metà esatta del quadro: nella metà di sinistra si vengono a trovare la Principessa, che occupa il settore più vicino alla cornice, e il Drago e nella metà di destra San Giorgio. A ben guardare l'atteggiamento della Principessa è ambiguo, non si capisce se ha paura, se mostra i legacci alla ricerca di comprensione e libertà o invochi pietà per il Drago. L'intero lato sinistro è occupato, come sfondo alle spalle del Drago e della Dama, da una caverna che ragionevolmente è sia la sua origine che la sua tana. Questo perché il Drago è animale tellurico per eccellenza, nasce dalle viscere della terra, condividendo questa origine con tutto quello che dalle profondità oscure provengono come l' acqua, l'oro e le gemme, e da qui genera i terremoti con i suoi movimenti inconsulti. I terremoti che il Drago suscita sono reali ma anche metaforici: rapimento di principesse, siccità o alluvioni, pestilenza e carestia, gli scuotimenti sono anche sociali rivoluzioni, sommosse in una parola il portatore del Caos. Il Drago con la sua forma orizzontale appartiene al regime della dissoluzione dei legami dei riti dionisiaci.

La parte destra del quadro è occupata da San Giorgio a cavallo nell'atto di infliggere al suo nemico il colpo mortale. Dietro di lui la campagna fertile e una nuvola carica di tempesta, all'estrema destra in alto della raffigurazione, con una curiosa forma a spirale. Il terreno dello scontro, l'area antistante l'ingresso della grotta, è arido e devastato mentre il cielo è scuro con la presenza della luna che rimanda però più a un crepuscolo, al momento della sospensione tra luce e ombra, che a una scena notturna vera e propria.

Le due metà del quadro si fronteggiano come si fronteggiano i due contendenti e ogni dettaglio svolge la funzione narrativa nella storia. Al centro del quadro in basso si trova collocata la testa del Drago colpita dalla lancia di San Giorgio, impossibile non risalire lungo la lancia stessa con una diagonale che attraversa il quadro da sinistra verso destra fino al braccio del cavaliere. Ma lo sguardo, preso l'abbrivo dinamico della diagonale, non si ferma arrivando alla nuvola tempestosa a forma di spirale immediatamente dietro San Giorgio. La spirale è il segno dell'infinito e in questo caso è metafora di Dio nero di collera, una vera Ira di Dio. La relazione creata dallo sguardo ci esplicita che San Giorgio è in missione per Dio e che è di Dio la forza immensa necessaria per colpire a morte il Drago. Improvvisamente la lettura del quadro si dinamizza con una brusca accelerazione nel tempo dell'azione ma anche nel tempo della comprensione. Il quadro di Paolo Uccello illustra chiaramente che gli elementi della pittura altro non sono che i risultati reali del movimento e della forma, della tensione e della direzione.

Proviamo a rileggere la storia nel quadro alla luce di quanto detto: tutta la rappresentazione è organizzata per coppie di opposti: Bene contro Male; Luce/Ombra, Vita/Morte, Destra/Sinistra; Alto/Basso; Verticale/Orizzontale; Vicino/Lontano; Dicibile/Indicibile; Natura/Cultura; Realtà/Fantasia; Solare/Lunare; Cosmo/Caos... e difficilmente l'Uccello non è ricorso a queste coppie per meglio far intendere il ruolo dei personaggi e il loro portato nella raffigurazione. Queste coppie di opposizioni formano quelle strutture invarianti, profonde, universali e a-temporali, che sottostanno alla lettura della realtà e alla formazione dei miti per Claude Lévi-Strauss. In breve il suo punto di partenza è che la natura della mente lavora attraverso la forma. Ogni esperienza è ricevuta in una forma strutturata, e queste forme o strutture, che sono una condizione della conoscenza, sono generalmente inconsce (come per esempio le categorie inconsce del linguaggio). Inoltre esse variano poco sia nei moderni che negli antichi. Consistono sempre nella creazione di una coppia di opposti, che si equilibrano l'un l'altro e disposti in modi diversi rappresentabili algebricamente. Quello che ci interessa qua è che si tratta di strutture inconsce con cui leggiamo il mondo riportando tutte le informazioni che riceviamo a categorie che ci forniscono le nostre scale di valori siano esse personali o siano condivise dai gruppi sociali di appartenenza: la nostra personale coppia di opposizione tra Bene e Male ci fa decidere quale valore dare ad un fatto e quindi quale atteggiamento prendere, se più rigido o più elastico, intransigente o compromissorio. La nostra mente, in base ad educazione ed esperienze, si forma le cornici mentali, i brainframes, mediante le quali si inquadra letteralmente ciò che i nostri occhi fanno arrivare al nostro cervello. La lettura del mondo in coppie antagonistiche forma l'ossatura della realtà e fa si che qualsiasi forma di comunicazione che si strutturi tenendo conto di questo venga recepita immediatamente. San Giorgio assume quindi i caratteri dell'eroe solare, apollineo, verticale, che, venendo da un Altrove non definito e diretto ad un Altrove altrettanto non definito, capita nel posto giusto al momento giusto per salvare il mondo dal terremoto sociale scatenato dal Drago, dionisiaco, orizzontale e notturno, con il sequestro della Principessa e così facendo ristabilisce le regole. Si possono interrogare quante persone si vogliano e arrivare a scoprire che nessuna conosce la storia di San Giorgio; ciononostante tutti riconoscono i protagonisti del quadro e i valori di cui sono portatori. San Giorgio e il Drago sono mitizzati divenendo archetipi di una forma di comunicazione strutturata dalla dialettica duale delle contrapposizioni. Citiamo ancora, solo per stimolare la memoria del lettore a ripercorrere le trame dei film che ha visto, la divisione in Alto versus Basso di Metropolis di Fritz Lang dove ai luminosi giardini pensili della classe dirigente sempre vestita di bianco corrispondono i tetri sotterranei degli operai senza volto e senza nome uniformati da una divisa scura. Ne I guerrieri della notte alla Nuova York diurna e amministrata si contrappone una Nuova York notturna dominata dalle bande di quartiere tra cui protagonisti si muovono in una allucinante Odissea metropolitana. Anche dal punto linguistico ai quartieri alti si contrappongono i bassifondi: dal romanzo I misteri di Parigi di E. Sue in poi fino al film Giungla d'Asfalto l'avventura, il crimine e il mistero popolano la notte e i luoghi sotterranei.

Questo modello di lettura della realtà poggia su elaborazioni inconsce condivise e a sua volta le condiziona: è proprio dalla tensione dialettica e dinamica delle coppie di opposizioni che derivano le regole di scrittura e interpretazione della realtà. Da qui la facilità con cui recepiamo la Storia in termini polarizzati di lotta tra Guelfi e Ghibellini, tra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri, tra Montecchi e Capuleti, tra Bartaliani e Coppiani, tra Sacchiani e Trapattoniani, tra Livornesi e Pisani, tra Callas e Tebaldi, Moser e Saronni, Anquetil e Gaul, Beatles e Rolling Stones... da qui comincia il viaggio per portare in superficie queste strutture che sottendono alla lettura del mondo che la nostra mente fa, per analizzarle e riorganizzarle per una comunicazione efficace o una rappresentazione convincente.

Per comprenderci meglio facciamo un salto in avanti di qualche centinaio d'anni e arriviamo all'eroe dei romanzi di Ian Fleming, James Bond ovvero 007, e alla fortunata serie di film che ne sono derivati. Esaminiamo "Doctor No", in italiano "007, licenza di uccidere"; "Goldfinger" e "L'uomo dalla pistola d'oro". Cambiano le ambientazioni di partenza e di arrivo (Bahamas, Europa e Giappone) ma alcune caratteristiche rimangono costanti nei tre film: il cattivo, rappresentante del male. Vive in una grotta (o in laboratorio-bunker sotterraneo) protetto da guardie del corpo ferocissime e in divisa da cattivo (divise congegnate in maniera tale da rendere anonimi i loro portatori: il Male tende a levare l'individualità, e il libero arbitrio, più che ad assoggettarla), possiede una incalcolabile ricchezza che lo mette in condizione di sviluppare tecnologie straordinarie e il suo obbiettivo è quello di scatenare il Caos. Attenzione: non arrivare al potere, non diventare l'Imperatore del Mondo ma semplicemente provocare il Caos per il Caos. Il rappresentante del Male vuole dissolvere i legami sociali e le gerarchie che li custodiscono. Come il Drago di San Giorgio che rapisce la Principessa, simbolo dell'equilibrio, generando l'aridità e la sterilità dei campi e la pestilenza così Goldfinger vuole rendere radioattiva la riserva aurea americana custodita a Fort Knox rendendola socialmente sterile e facendo tracollare l'economia mondiale. È curioso che tutti noi accettiamo questa parte del racconto senza farci domande del tipo: ma che cavolo ci guadagnano Goldfinger, il Dottor No e l'Uomo dalla Pistola D'Oro a generare il caos? È la propria natura che li fa agire in questo modo, è il ruolo assegnato loro dalla struttura narrativa che ce li fa riconoscere immediatamente come personaggi tellurici, rappresentanti del regime notturno della vita, contro cui va a combattere l'eroe solare James Bond, custode del Cosmo.

Ancora un esempio: il primo King Kong, quello del 1933, con Fay Wray. Un producer cinematografico ha affittato un battello con tutto l'equipaggio per recarsi con la troupe in una isola esotica a girare sequenze mozzafiato con fondali e comparse autentici. Al momento della partenza la prima attrice non si presenta ma il producer non si perde d'animo: si mette in cerca di un volto nuovo tra la folla e trova Fay Wray in fila alla mensa dei poveri in attesa di un pasto caldo. Reclutata al volo la prima attrice, la nave può partire. Si arriva nell'isola nel mezzo di una cerimonia misteriosa durante la quale gli aborigeni mostrano grande deferenza e timore nei confronti di una gigantesca palizzata che separa il villaggio dalla giungla più nera. Il producer ordina di riprendere la cerimonia ma gli indigeni si accorgono della loro presenza e, fatti prigionieri tutti i componenti della troupe, drogano Fay Wray e la offrono in sacrificio. Dalla giungla nera, questo Aldilà della palizzata, emerge gigantesco s spaventoso un gorilla immane che prende con sé la Wray e si lancia nell'oscurità. Il secondo di bordo liberatosi organizza un inseguimento. Il mondo di là è una terra rimasta all'età della pietra e Kong deve battersi con creature antidiluviane per mantenere il possesso della sua preda. Arrivato presso la sua tana comincia a spogliare la Bella e viene sedotto dall'odore della sua biancheria intima. Ma davanti all'intensità del desiderio impossibile della Bestia anche Fay Wray non resta insensibile. Una curiosa e un tantino morbosa relazione si instaura tra i due. Ma arriva la spedizione di soccorso che in qualche maniera riesce a salvare la ragazza e a rendere innocuo, apparentemente, Kong. Il cinico producer, contro il parere di tutti, decide di portare il gorilla a Nuova York per esporlo in pubblico a pagamento. Ribattezzato King Kong lo scimmione viene esibito in un teatro ma i flash dei fotografi e le grida di panico del pubblico lo innervosiscono fino a fargli spezzare le catene e fuggire. Il gorilla impazzito semina panico, morte e distruzione in città abbattendo palazzi, masticando civili ignari: un vero e proprio terremoto. Alla fine la tecnologia, rappresentata dai carri armati ma principalmente dagli aerei, ha ragione della Bestia riportando l'ordine, le regole, in città. La coppia principale di opposizioni è evidentemente quella tra Natura e Cultura, un tema che Hollywood sfrutterà con successo negli anni a seguire. In particolare il tema scatenante della rapacità di imprenditori senza scrupoli (ma anche esperimenti scientifici sfuggiti di mano) in anni di ecologia ha incontrato un certo successo. Il compito di ristabilire le regole spetta agli aerei che rappresentano la forza immane della nuova divinità del secolo: la tecnologia. Nel film si esplicita in maniera chiara il ruolo di fascinazione reciproca che la Wray e Kong, letteralmente la Bella e la Bestia, hanno e che spiega in parte la postura ambigua della figura femminile nel quadro di Paolo Uccello (riprenderemo questo rapporto più avanti a proposito degli archetipi); principalmente però ribadisce il carattere ctonio, orizzontale, notturno, acquatico e proveniente dal profondo della Bestia, fino a farne una figura archetipale.

Questo archetipo funziona non solo nelle rappresentazioni pittoriche o cinematografiche ma anche nelle raffigurazioni della realtà effettuate dai giornali. La Repubblica del 14 settembre 1998 presenta la piantina con annessa descrizione del segretissimo covo di Osama Bin Laden: "Il miliardario saudita vive in una residenza ultramoderna custodita in una grotta fra i monti dell'Afganistan"; "Una gigantesca antenna parabolica è nascosta tra gli alberi"; "L'arsenale dove sono custodite pistole, kalashnikov, mortai e munizioni"; "Miliziani taleban afgani e ex mujahdin arabi sorvegliano con armi pesanti e artiglieria antiaerea l'ingresso della grotta dove si cela in quartier generale di Osama Bin Laden"; "Lo studio ha una scrivania con due computer e un fax collegati al resto del mondo tramite dei telefoni satellitari"; "La camera da letto di Bin Laden con tre letti e una ricca libreria di testi islamici".

Pagina di quotidiano con titolo su Italia islamizzata

La fonte che ha fornito la piantina così dettagliata non è specificata, è sufficiente comunque immaginare i talebani tutti con turbante e barba per renderli anonimi e feroci quanto basta per rientrare nei parametri comunicativi di cui sopra.

Quanto detto non vuole levare nulla alla ferocia di Osama Bin Laden e a quella dei Talebani, vuole soltanto dimostrare che nella comunicazione per immagini esistono strutture profonde che, se adeguatamente sollecitate, aiutano a veicolare il messaggio e la sua comprensione. Si vuole inoltre dimostrare che nel triangolo autore (progettista) - opera - spettatore si presuppone un cinetico, dinamico sguardo spettatoriale che può e deve essere pianificato nel progetto dell'opera al di là del fatto che lo spettatore sia mobile o seduto.

Possiamo affrontare l'atteggiamento ambiguo della Principessa e provare ad andare oltre nell'analisi che Vogler [2] dedica ai personaggi femminili nel suo manuale di sceneggiatura cinematografica. La Principessa custodisce la soglia della Caverna, dell'antro in cui l'avventura non sarà solo un susseguirsi di colpi di scena ma anche un percorso interiore.

Medea, Circe, Arianna sono sulla soglia dell'Aldilà, del Mondo Straordinario, custodi del sapere che consente andare e, ancora più importante, consente di tornare. I rispettivi Eroi, Giasone, Ulisse, Teseo, non sarebbero in grado di compiere la loro missione se non ci fosse l'intercessione e il sapere delle tre giovani donne. Tutte hanno un duplice nome a cui si abbina una duplice funzione: quella diurna, solare e quella notturna, lunare. Quest'ultima in particolare dona il potere sull'acqua e sui riti della pentola ribollente, in ultima sopravvivenza i filtri. Da una parte quindi il legame con l'Eroe solare e dall'altra il vincolo di parentela, attraverso la Madre Terra, con il Drago. In qualsiasi momento Medea, Circe e Arianna possono mostrare il loro volto luminoso così come il volto oscuro e terrificante delle creature della Grotta. L'archetipo del Mutaforme di Vogler, in particolare quando parla della femme fatale, muove da qui.

Anche le loro co-funzionarie, le Sibille, in particolare quella che indica a Enea la via degli Inferi, siedono sulla bocca del mondo straordinario, alla soglia dell'antro in cui aveva dimora il serpente - drago Pitone. Tutte le nostre figure femminili custodiscono un potere che deriva dalla Natura: il potere della trasmutazione. Sono capaci di operare la metamorfosi tra organico e inorganico, tra organico e organico. Diana, la divinità lunare per eccellenza, muta Atteone, che l'ha rimirata nuda nella fonte sacra, in cervo; Circe muta i compagni di Ulisse in porci, Medea e Arianna custodiscono il metà umano e metà bestiale. Tutte conducono l'Eroe oltre l'umano, verso la coscienza dell'Altro da sé, delle paure e dei dolori che questo genera. Il viaggio nella Grotta, nel Labirinto, nell'Ade, in ogni Altrove possibile, è anche un percorso spirituale.

Come ricorda Vogel, nella caverna più profonda si muore e si rinasce più umani di prima. La transizione della soglia diviene la metafora di altre molteplici trasformazioni.

Così nel Robin Hood di Kevin Costner i Guardiani della Soglia sono due. Uno è palesemente Little John che sorveglia il limite del Mondo Straordinario, la Foresta, e che obbliga Robin a battersi non con le armi da cavaliere, di cui il giovane era sicuramente più che esperto, ma con il bastone delle classi subalterne a cui la spada era vietata. Lascia la spada luccicante, forgiata nel fuoco con tecnica sapiente, per prendere il bastone di legno proveniente dalla foresta. Così facendo lascia il simbolo di una divisione sociale che distingue in caste per unirsi e confondersi con i senza nome: gli Allegri Compagni della Foresta. Per varcare la soglia Robin deve spogliarsi della vecchia identità e di tutto quello che fino ad allora aveva fondato la sua identità e le sue sicurezze. Colui che cade nel fiume che segna il confine della Foresta, e naturalmente sparendoci fino a farci credere di essere morto, è il nobile Robin di Locksley, la persona che riemerge è Robin Hood l'uomo destinato, rinunciando ai simboli dell'orgoglio della sua casta, a divenire il più nobile di tutti perché capace di farsi carico dei problemi di tutto il popolo. Il medaglione, posta in gioco della contesa con Little John, diviene l'oggetto simbolo della crescita di Robin: non più un dono avuto senza fatica ma la certificazione di una vittoria pagata con sofferenza e umiltà. L'archetipo di questo comportamento va cercato nel ciclo di romanzi cortesi dove Lancillotto, lanciato al salvataggio della regina Ginevra, per raggiungerla accetta di salire, privato delle sue armi, sulla carretta dei condannati condotta da un nano deforme e esponendosi al ludibrio.

L'altro Guardiano è Lady Marian che accoglie Robin con diffidenza mista a ostilità: il Robin che lei ricorda era un ragazzo aggressivo, arrogante e superbo. Questo Robin non aveva avuto un attimo d'esitazione a partire per andare a versare sangue in terre lontane disinteressandosi completamente delle sofferenze generate partendo. Sarà Lady Marian ad accompagnare e condurre Robin nel transito della soglia tra l'incosciente giovinezza e la maturità da adulto consapevole delle proprie scelte e delle conseguenze dei propri gesti.

In questa versione del racconto, Marian si contrappone come simbolo luminoso alla strega che nell'antro scuro elabora malefici per lo Sceriffo. Quando le due attitudini coesistono, come in Medea, Arianna e Circe, avremo come detto l'archetipo della femme fatale.

Roma, 23 Marzo 2007


Note

[1] J. Petitot, "San Giorgio: note sullo spazio pittorico" in Semiotica della pittura, Il Saggiatore, 1980, a cura di O. Calabrese

[2] C. Vogler, Il Viaggio dell'Eroe, Dino Audino Editore, Roma 1999