L'Europa si è ammalata di tropicalismo. Finalmente. Laddove nulla hanno potuto nel corso dei secoli i ciclici e continui flussi migratori e il turismo esotico-di-massa; prodotti culturali importati, imposti e impostisi; programmi ministeriali antirazzisti e multiculturalisti; la rivoluzione climatica di inizio millennio, in un'estate, potè. 
     Si tratta della più virulenta, castratoria (nel senso che per fortuna ci rende impotenti) e inarrestabile malattia che abbia mai unito a tal punto l'Europa. Uno speciale tipo di morbo che attacca tutto l'Occidente metonimico consacrato al profitto.
     Una sorta di tacito, fattivo e ineluttabile "koan" che alita su questa paradisiaca regione del mondo con una domanda inchiodante: come muta in un paese sviluppato (quello europeo tutto, beninteso) il coefficiente di produzione di tutti i settori sotto la morsa di questo impertinente clima tropicale?
      In attesa che la risposta si manifesti chissà dove come e quando, i flussi di vita inarrestabili, con tutta la loro gamma di manifestazioni, realizzazioni, articolazioni giocate su tutta la loro scala di intensità, vengono fissati via via - proprio nel loro atto di fluire - in un ridotto florilegio - "cose tropicali", appunto - senza altro criterio di scelta che la disponibilità del loro accadere.
 

TROPICALISMOS 0.0 - Roma, 29 agosto 2003

LAVORO

TUTTE LE PRIME VOLTE

PAOLA LA URUTANA

LLUVIA
(pioggia)