Erano quelli i giorni in cui si trovava
a fare un bilancio della sua vita. Ma un bilancio della sua vita implicava
automaticamente un bilancio del suo lavoro. Quale era stato fino ad allora?
Che cosa aveva fatto? Che cosa aveva costruito? Cosa avrebbe fatto d'ora
in avanti?
L'analisi
si complicava perché veniva continuamente sporcata dalla sua capillare
e antica insicurezza che l'aveva portato a preferire una non-formazione
autodidatta - e come si sa l'autodidatta è colui che più
di tutti dubita spesso della sua intelligenza. La sua insicurezza l'aveva
spinto dunque su una strada che produceva insicurezza. La premessa del
bilancio aveva tutta l'aria di essere un vicolo cieco, insomma.
Sapeva, certo, che erano stati l'educazione,
il "vissuto" traumatico a determinare le sue scelte, a decidere per così
dire il suo destino di sbandato professionale.
Ma
sapeva anche - forse perché lo rintracciava nel suo sé più
profondo e più vero - che ogni volta, ciò che da lì
(da quel profondo) aveva urlato con tutta la sua forza, era quell'esigenza-urgenza
di "non morire senza aver amato tutto". Poteva consacrarsi a qualcosa in
particolare e lasciarsi sfuggire tutto - tutto il resto?
E
certo non bastarono concetti forti come "per essere utili e impiegabili
bisogna poter essere individuati" o come "si deve sempre saper fare qualcosa",
per convincerlo ad applicarsi in una sola cosa nella vita. "La vera perizia
si ottiene con la dedizione esclusiva e durevole" sentiva dire dappertutto.
No, si era subito allontanato da quella strada e ne era naturalmente lontanissimo,
ora.
Non
si era trattato di un semplice capriccio. Era proprio una vocazione la
sua. Una vocazione al suicidio, pensava ora - un suicidio sociale.
Adesso
cosa poteva fare per rimediare?
Ma
non era quella la domanda giusta e non si trattava di rimediare: era convinto
di questo. Allora che cos'era il turbamento che lo possedeva?
Eppure
aveva lavorato sodo tutti quegli anni: non era mai stato con le mani in
mano. Aveva investito partendo dal nulla - da nessuna formazione specifica,
cioè - in un'azienda, la sua. Una piccola casa editrice nel settore
delle nuove forme di comunicazione all'alba della rivoluzione comunicativa.
Aveva costruito solidi rapporti, prodotto progetti. Nella sua azienda aveva
fatto di tutto: le pulizie, il segretario di se stesso, l'amministratore,
il fund raiser, il manager d'azienda, il tecnico, il datore di lavoro,
il selezionatore del personale, il creativo, il progettista, il controllore
di qualità, ... Molte delle sue energie le aveva inoltre investite
nel tentativo di scardinare il concetto di committenza. Tutto il processo,
e alcuni segnali di innovazione del processo produttivo della comunicazione,
l'aveva nelle sue mani, nella sua memoria, nella sua coscienza, insomma,
e ancora più giù: nel suo inconscio, nel suo midollo, nelle
sue cellule.
Poi, la crisi dopo l'ucita coatta dalla sua società. I forti contrasti
con il socio acquisito non seppe risolverli in altro modo che andandosene.
E sì che le carte della ragionevolezza era sicuro di averle giocate
fino alla fine, ma l'arte della guerra: quella che risulta necessaria quando
esistono gli interessi economici, ecco, proprio quella, aveva deciso di
non impararla. Aveva scoperto con l'occasione quanto fossero estranei alla
sua natura il risentimento, l'odio, la vendetta, la determinazione che
occorrono per combattere e vincere su qualcuno. Aveva imparato per differenza/esclusione
l'arte stramba di non combattere per i propri interessi particolari. Certo,
lottare per conservare quello spazio di edizione e pubblicazione indipendenti,
non sarebbe stato propriamente combattere soltanto per i propri interessi:
ma che traccia si sarebbe lasciata, dietro, quella lotta? e quanta energia
si sarebbe sprecata?
Questa astensione e questa sottrazione allo scontro, l'avevano messo del
tutto fuori gioco: si trovava ora nella società del profitto del
terzo millennio, competitiva e iperprofessionalizzata - almeno sulla carta
- subumanizzata, cinica, che doveva passarlo al vaglio: considerare, esaminare,
selezionare, e nella maggior parte dei casi rifiutare perchè non
possedeva patenti europee, lauree, diplomi di corsi di formazione riconosciuti
dalla regione - le carte giuste, insomma. Il suo curriculum non valeva
niente, la sua formazione sul campo, inimpiegabile. Quasi quasi stava per
crederci anche lui. Al punto, che quando gli capitò un annuncio
di lavoro per la ricerca e l'inserimento di dati in un database, solo per
quel tropicalissimo mese d'agosto pieno di mille bolle del deserto che
scoppiavano sulla città, pur di ottenerlo - per provare a se stesso
e al mondo che era "impiegabile" - e non potendo contare sulla forza del
suo curriculum, debole anche per un lavoro simile - accettò di farsi
sottopagare.
Quel mese di lavoro da sottopagato e angariato gli restituì per
la verità un pò di sicurezza in se stesso.
Non avrebbe mai più accettato di
assumere la visione che tutti sembravano avere della sua storia professionale.
In quel mese di lavoro aveva colto con
una chiarezza rara, che mai avrebbe potuto lavorare otto ore al giorno,
e per di più in un (e per un) processo produttivo del quale non
condivideva gli obiettivi. Il prodotto e il processo produttivo dovevano
essere eticamente sostenibili, perchè lui potesse lavorarvici.
Questa affermazione gli dava insieme coraggio e disperazione. Sarebbe stato
difficilissimo trovare un impiego che rispondesse a quei requisiti e del
resto non poteva abdicare alla sua vita cercando di sanare il dissidio
tra questa e il lavoro. Per lui non potevano essere separati il momento
del lavoro e il momento della vita. Vivere per lui era sempre stato lavorare
per qualcosa in cui potesse credere e che rendesse la sua vita quotidiana,
quella fatta di ore e minuti, possibile, vivibile e degna di essere vissuta.
Quando provava ad esprimere questo suo particolare punto di vista, subito
si sentiva strano, assurdo, iperbolico, malato di tannerismo. Allora
chiudeva la bocca di colpo, ricacciato nella sua obbligata solitudine e
nel suo sicuro smarrimento.
Era certo, perciò, che se non voleva mentire ritoccando il suo curriculum
- e NON l'avrebbe fatto mai - doveva di nuovo rimettersi in gioco e reinventare
un altro lavoro. Come aveva fatto in passato.
Cercare un' occupazione nel panorama dell'esistente - così defintivamente
compromesso e autofagocitante era il mondo lavorativo, ormai - gli avrebbe
tolto l'unica vera ricchezza che ancora gli restava: la sua interezza.
Doveva ricominciare da zero, e subito anche, e da solo, per giunta, e contro
tutti, sembrava.
Aveva un disperato bisogno di interlocutori, invece, aveva bisogno di trovare
casi simili al suo. Non accettava di sentirsi solo contro tutti. Anche
fosse in un altro angolo del mondo, voleva sentirsi sicuro di non essere
il solo a intraprendere la battaglia per ridare dignità alla vita
e al lavoro.
Una volta si era già appassionato dei mestieri: mestieri antichi
che sparivano e nuovi che facevano la loro prima apparizione. L'aveva fatto
per la striscia televisiva che stava sperimentando in una emittente locale.
La sua indagine s'era spinta anche fino alla regione ancora inesplorata
del no-profit che lo stimolava e gli restituiva un po' di fiducia nel mondo.
Ma aveva appena cominciato ad afferrare alcune questioni nodali quando
la mancanza di interlocutori seri e la sfuggevolezza di alcuni personaggi
chiave, insieme ad alcune circostanze di vita vera reale, lo distolsero
dal proseguire l'indagine.
Sapeva che il terzo settore, il lavoro che non c'è, il lavoro
etico, rimasto per lui ancora un campo inesplorato, si era depositato in
lui come un sedimento non del tutto limpido sul quale, non potendo sospendere
il giudizio in attesa di completare l'indagine, aveva steso una sorta di
pseudo-sospetto: che fosse l'ultima spiaggia degli emarginati della terra,
il rifugio di coloro che erano stati "rifiutati" dal sistema "profittevole",
e che questi fossero oltretutto le vittime di un enorme raggiro, di un
ennesimo sfruttamento: una nuova fetta di mercato da nutrire, conquistare
e infine da spremere.
Aveva bisogno ora di completare la sua visione: voleva capire se si trovava
di fronte alla vera e sana - non-dialettica e non-ideologica - alternativa
alle leggi del mercato oppure a una mistificazione che dall'alto veniva
comunque fatta rifluire nelle logiche compromissorie e compromesse del
profitto.
Quali potevano essere perciò i suoi interlocutori? Intellettuali
puri, veri studiosi di economia non prezzolati, ... chi altri?
Ma non voleva correre il rischio di fare ideologie. Cosa voleva, allora?
Sembrava a tutti gli effetti un programma raffinatissimo di autoemarginazione,
il suo. Oppure una di quelle finissime, fragilissime e solidissime costruzioni
dell'intelletto o dello spirito che hanno il compito di fissare talmente
in alto l'obiettivo da giustificare un'intera vita consacrata a una lotta
sublime.
E che cosa ci sarebbe di male, in questo? che si tratterebbe di una finzione?
invece quella di sforzarsi a trovare un ruolo nel sistema di produzione
che ha come obiettivo il profitto e che crea bisogni e promuove i consumi/iperconsumi,
e dunque sforna addicted (sì, preferisco il vocabolo inglese), drogati,
senza cui del resto tutto il sistema crollerebbe; non sarebbe (non è)
anche questa, soprattutto questa, una finzione?
E pensare che dopo il crollo delle torri, e durante la crisi dei consumi
- onda d'urto di quello chock mondiale: depressione veramente collettiva
- anche lui si era quasi convinto che fosse giusto continuare a consumare
a "far circolare il denaro", come dicevano; e dopo l'arrivo dell'euro,
quasi contestuale alla caduta delle torri, come a rincarare la dose - anche
allora, nonostante le batoste e lo stato d'assedio dei commercianti sui
consumatori, che durava tuttora, nel più colpevole dei disinteressi,
anche allora, si era sforzato di credere, appoggiando quella stupida formula
del dovere di far circolare il denaro. Balle. Silenzioso (ma clamoroso)
individuale (ma collettivo) atto di disobbedienza quotidiana verso i consumi
"superflui", invece. Chiuderanno, certo, i numerosi warner village che
vendono la settima arte, e le consumazioni annesse, a carissimo prezzo.
Cesseranno le coazioni agli acquisti, alla vacanza, alla cena fuori, quando
saremo costretti a comprare abiti per tutti i giorni di scarsa qualità
a prezzi impraticabili, quando le uniche offerte turistiche saranno i costosi
villaggi con animazione omologata e coatta o i centri di benessere che
vendono l'illusione aberrante di recuperare serenità e distensione;
quando i cibi nei ristoranti saranno pessimi piatti solo ben guarniti e
costosissimi. Quando finalmente tutti si sentiranno EVIDENTEMENTE presi
in trappola. Cesseranno, no?
Non era già un vero e proprio programma di lavoro, questo suo bilancio?
E non aveva già iniziato a svolgerlo?
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