di Domenico Scudero(*)
Il recente convegno su arte, avanguardia e web, dal titolo ambiguo quanto accattivante - «Hackmeeting» al Forte Prenestino - ha posto in luce numerose contestualità conseguenti l'uso della telematica industriale nell'ambito della cultura artistica. Garante al di fuori di ogni sospetta infiltrazione nell'ordine del discorso su arte e web Tommaso Tozzi; a lui e agli altri relatori delle giornate di discussioni si deve l'apertura su tematiche che nel prossimo futuro ci riguarderanno tutti. Piuttosto che elaborare una critica, o meglio una metacritica alle varie punteggiature sostenute da quanti hanno partecipato, credo vada detto in prima battuta come nel complesso dialogo fra arte e web l'ala radicale che qui si vuole rappresentare si muova all'unisono, come coordinata da precise priorità.
Salvataggio della libertà espressiva - ed il malcelato fastidio per tutto ciò che Microsoft simboleggia ne è l'esplicito segno - identificazione della sperimentazione, disarticolazione della falsificazione mass-mediale - relativamente a storia e operatività artistica -, sono valori cui l'«Hack-critic» di oggi non vuole rinunciare e che definisce propedeuticamente a qualsiasi altra realtà. Purtroppo però va anche detto che questa sintonia che ci ritrova per buona parte d'accordo risulta essere un limite logico da riportare all'interno di questioni e confronti più complessi.
Non che l'arte e la sua storia non siano qualitativamente discipline complesse, purtroppo però, come si è visto anche nell' Hackmeeting la fiorente letteratura scaturita intorno al significato del termine «hacker» ha prodotto dei danni che adesso difficilmente si riesce a contrastare.
In primo luogo perché al discorso del radicalismo nell'ambito della telematica industriale si è spesso sovrapposto quello sul monitoraggio tecnico, per cui l'identità hacker è stata genericamente interpretata come sinonimo di «banditismo in rete» piuttosto che non come fenomeno di resistenza culturale al dominio della New Economy: e questo mi sembra, come argomento di sostanza, risuonava sia nelle relazioni di Francesco Galluzzi e di Roberto Terrosi, ma era come il rumore di fondo nella quiete di questa serissima analisi cui tutti aderiscono.
Dimenticando che la New Economy non è altro che una ennesima bolla speculativa su cui i soliti poteri forti stanno ridisegnando la mappa delle relazioni economiche fra massa e capitale; si è così spesso fraintesa la possibilità individuale di interagire col fenomeno stesso.
Non si nega infatti che l'individuo nella New Economy possa partecipare in prima persona all'azione speculativa, resta da definire dove vada a colpire il complementare surplus negativo e chi ne debba pagare le conseguenze, poiché in economia nulla è casuale. Una delle maggiori arguzie della New Economy è proprio quella di disarticolare il dissenso attraverso la partecipazioni speculativa, inglobando e metabolizzando la critica al sistema attraverso la sua responsabilizzazione individuale: una adesione privata e virtuale al sistema di potere che non può lasciare indifferente chiunque vi partecipi, anche se a regime ridotto.
Chi ha avuto modo di lavorare attraverso il web si sarà però senz'altro interrogato sulla divergenza esistente fra aspettative qualitative e realtà pratiche di questo mezzo. Provare ad approfondire un quesito attraverso la rete può divenire alquanto difficile e non sempre perché non esistano le informazioni in rete ma perché gli interessi economici hanno creato una sovrastruttura che pregiudica l'uso delle reti per il suo consumo: la speculazione pianifica l'orizzontalità a scapito della verticalità.
Strategia dei portali e motori di ricerca separano sempre più prodotto commericale da oggetto relazionale: probabilmente è proprio in questa direzione che l'avanguardia attuale - se di avanguardia si vuole parlare - deve presentarsi attivamente attraverso l'uso delle reti, nel tentativo di scardinare l'organizzazione gerarchica della New Economy in ordine alla menzogna suggestiva di una maggiore democrazia.
Diversamente la nuova realtà non è solo profitti esagerati per una sparuta minoranza ma è un effetto ansiogeno d'inadeguatezza al mondo che si ripercuote in una qualità lavorativa "premoderna", in cui il lavoratore "liberato" dalle strutture sociali del potere si ritrova a dover fare i conti con un maggiore carico di fatica, minore assistenza - per sua volontà, poiché partecipe della "rivoluzione" - scardinato da qualsiasi struttura di solidarietà sociale: e conseguentemente con un carico di frustrazione enfatizzato dalla iniqua finzione di essere responsabile della propria condizione.
Chiunque sia costretto ad aggrapparsi al monitor per sopravvivere sa bene che la "favola" della giovane generazione miliardiaria grazie a poche intuizioni nasconde una realtà fatta di nuovo schiavismo, in cui il lavoro intellettuale di ricerca e di relazione informativa sussiste con una fatica moltiplicata, cui non corrisponde un tenore di vita accettabile. In secondo luogo bisogna pur constatare che determinate questioni inerenti la New Economy hanno consapevolmente minato la possibilità che una cultura di critica radicale potesse e possa attivare un dibattito propositivo all'interno dei settori dominanti.
Ci si ritrova al problema prima accennato. All'interno del dibattito del radicalismo critico attraverso il medium Internet tutto sembra collocarsi in una sua "giusta" posizione: sempre confinata però al limite esterno del reale, come di un peso superfluo all'andamento del mercato, ricco e immutabile, che non ha nessun interesse ad interrogarsi sulla sua etica e conseguente estetica. Si dirà che questo sistema di potere attualmente in atto pregiudica la stessa evidenza della critica favorendone una versione "pubblicitaria", vergognosa, inquietante, ma inesorabilmente vincente in cui vanno a spegnersi tutte le richieste di sovversione equa, pacificate da un minimo accenno di gloria.
Allo stesso modo però, la critica radicale al sistema sembra misurarsi con il suo mistero d'appartenenza, come conclusa nel limbo di una esistenza virtuale, di cui si sconosce volutamente la pratica, e lo scopo: da ciò l'utilità di definizioni quali "hacker" - pirata, bandito - piuttosto che ricercatore dei segni nascosti all'interno delle reti; da ciò l'interesse per l'aspetto romantico della questione, di eroi privi di etica del "capitale" salvo poi premiarli per meriti conseguiti sul "lavoro" di hackeraggio; da ciò, inoltre, quella qualità del consenso che può dirsi assoluto solo in visione di un mondo parallelo e nascosto, dal sistema considerato solo come luogo da annichilire; da ciò, infine, la circonvenzione della "critica" come organismo incapace d'analisi nei confronti del sistema, ed al cui soldo poi spendere ogni teoria che non sia pura alfabetizzazione del consenso; e come definitiva conclusione intendere per "critica" quella piatta abnegazione che è dell'intellettuale quando tradisce il suo vero scopo d'essere distaccato dal sistema.
Questioni queste realmente insondabili: come se la critica radicale possa esserci solo in virtù della sua "sparizione"; alla luce del "sole", del sistema, essa vive solo di rinuncia e di colpevole inanità. Ne rifletto a distanza di pochi giorni dal convegno, durante l'inaugurazione di una grande mostra - mostruosa - apera a Roma, presso Villa Medici: giovani modelle attendono affacciate dai balconi rinascimentali i visitatori lanciando rose rosse - sedimentate a centinaia nello spiazzo dell'ingresso -; tavole imbandite con specialità di tutto il mondo, e frutta di prima scelta usata come tappezzeria, ovvero l'uso del capitale come forma di supponente superiorità intellettuale, nell'indifferenza di un pubblico viziato, sterile, cinicamente sfrontato.
Non ci si lasci ingannare, comunque: fra gli artisti ed i critici presenti molti hanno alzato bandiere d'anarchia e politiche di critica radicale al sistema. E non può dirsi che questi artisti o questi critici non vi abbiano creduto: semplicemente, a furia di lasciar correre il dettaglio e pur di partecipare stancamente al "sistema dell'arte" si è finiti tutti con l'avallarlo, con il sostenerlo nelle sue stereotipe tradizioni.
Ci si ricordi di come l'Arte Povera - cattiva maestra - nata nel pensiero della guerriglia epistemologica, è finita poi a reggere le sorti dell'intero sistema espositivo italiano senza averne di fatto trasformato l'essenza. In questo senso la telematica industriale si offre come evento epocale attraverso cui poter agire motivatamente. Sempre che, come sembra d'intuire, anche gli steccati della New Economy non riescano a generare "site-mirror" nelle coscienze di chi la sta contrastando e che queste barriere si trasformino in una sorta di "nobiltà della rete" che cominci ad escludere, come di fatto già accade, o peggio si finisca nello sfruttamento dell'hackeraggio per potersi tuffare poi felicemente fra i petali di rose lanciati da modelle francesizzate.
Roma, 14 Luglio 2000
(*) Ndr: di Domenico Scudero è stato da poco pubblicato il libro Avanguardia nel presente, Lithos Editore, Roma 2000.