La rinnovata attenzione all'audiolibro, prepotentemente sospinta dall'introduzione di nuove tecnologie e, più in particolare, attraverso le 'estetiche' dell'iPod, ripropone questioni ancora aperte sul rapporto tra testo e lettura.
L'assunzione di fondo considera l'audiolibro come la registrazione audio di un libro letto ad alta voce. La registrazione avviene su differenti supporti (media) in funzione della tecnologia utilizzata per un'esperienza estetica che si svolge nell'ascolto e non nella lettura. Questa concezione, ultimamente rivitalizzata dalla completa adozione dei formati digitali (mp3), è stata alla base di molti pregevoli tentativi editoriali, portati avanti anche con costi e risorse non indifferenti, ma occorre riflettere se questa naturale definizione sia invece da mettere in discussione e ripensare.
Nel tempo si è data infatti troppa enfasi alla lettura e poca alla costruzione di testi per la lettura. L'attenzione critica si è concentrata sugli aspetti caratteristici dell'oralità di ritorno e assai meno sull'evoluzione e l'integrazione con i media e gli ambienti di transito dove l'opera è pensata per essere fruita.
A mio modo di vedere, quella che potremmo chiamare la concezione 'classica' dell'audiolibro, non solo non riconosce a pieno le specificità del medium di riferimento, ma continua a pensare l'opera dal punto di vista della produzione letteraria tradizionale, con un evidente paradosso: da un lato infatti si ribadisce nell'audiolibro la rinascita della voce sulle ceneri della scrittura. La ricchezza estetica della narrazione dovrebbe conferire al testo letto profondità e spessore, il mondo bidimensionale della pagina trasporsi nella matericità della voce ovvero del suono. Non solo. Le parole, quelle lette, soffiando sul testo come spirito vitale, potranno ravvivare la lettera morta, restituendo vitalità, colore, ritmo, tono, volume alla pagina. Questa estetica della lettura che potremmo definire del 'soffio vitale' tuttavia tradisce la voce nel momento stesso in cui cerca di ribadirne la priorità. E lo fa in maniere ingenua, forse troppo, proprio in quanto pone come punto di partenza il testo scritto. La priorità resta dunque una priorità testuale. È il testo preesistente che viene letto. Si badi, non è una priorità solo cronologica, posta in questi termini potremmo definirla una priorità estetica. Il testo nasce nel medium della scrittura da essa e per essa concepito. La trasposizione nella narrazione assume un carattere epifenomenico non sufficiente ad invertire il rapporto asimmetrico tra scrittura e voce.
Nella prassi odierna, la possibilità dell'audiolibro non sussiste all'atto del suo concepimento. Originariamente abbiamo un testo scritto, romanzo o racconto che sia. L'audiolibro nasce soltanto 'dopo', nell'atto della lettura. Come detto, ciò potrebbe apparire quasi ovvio, eppure una simile concezione impedisce di pensare l'audiolibro come ad una forma di rappresentazione letteraria dotata di un suo autonomo statuto. Resta, in tutto o in parte, un prodotto derivato (anche in senso commerciale), la cui differenza qualitativa è giocata nell'ambito dell'interpretazione che il narratore conferisce nella lettura [1].
L'autore risulta estraneo alla 'lavorazione' che si compie sul suo testo e lo è in misura enormemente maggiore di quanto potrebbe essere, ad esempio, un autore di opere teatrali rispetto alla messa in scena della sua opera. Anzi, il drammaturgo sa di scrivere un'opera teatrale e la concepisce, fin dal principio, non tanto e non solo per la lettura quanto per la recitazione.
Nel caso dell'audiolibro invece, l'autore ha concepito l'opera in senso tradizionale e solo successivamente avviene l'opera di riadattamento.
Da quanto detto si può osservare che un'estetica dell'audiolibro dovrebbe affrancarsi, in parte o del tutto, dalle esperienze letterarie fin qui condotte, in quanto tutte condizionate da questa asimmetrico rapporto tra voce e testo, narratore e autore.
La trasposizione in audiolibro dei classici della letteratura, anche della poesia che pure più di ogni altra forma espressiva scritta, tiene saldi i rapporti con la voce e la scrittura, rischia di tradursi in una curiosità per amanti del genere, un gadget per collezionisti e non in una forma di espressione autonoma dotata di una sua specificità letteraria.
Per questo ritengo che un progetto di definizione dell'audiolibro come autentica forma di espressione letteraria debba, per principio, prescindere da gran parte dalle opere fin qui realizzate. Debba, credo, rivolgersi alla letteratura a venire, piuttosto che ha quella già 'letta', soprattutto ad una letteratura che sia pensata innanzitutto e per lo più per essere narrata e non letta [2] Non si vuol dire che l'autore debba registrare la propria voce piuttosto che scriverla, ma la prassi della scrittura deve considerare i principi di un'estetica della narrazione e non della lettura.
Non si tratta di un compito facile. A ben guardare, l'apparente naturalezza della narrazione non può non essere un artificio di notevole complessità. Si pensi, ad esempio, alle riflessioni di Céline riguardo la sua tecnica narrativa, in particolare, alla famosa metafora del bastone immerso nell'acqua.
In una lettera [3] lo scrittore francese così descrive la sua 'tecnica':
«Far passare il linguaggio parlato in letteratura - non è una questione di stenografia - Alle frasi, ai periodi, occorre imprimere una certa deformazione, un artificio tale che quando uno legge il libro gli sembri che gli stia parlando all'orecchio - Si arriva a questo mediante una trasposizione di ciascuna parola che non è mai del tutto quella che ci si aspetta, una sorpresina. È quello che accade ad un bastone immerso nell'acqua; perché appaia diritto bisogna spezzarlo un pochettino prima di immergerlo, deformarlo preventivamente, se così si può dire. Un bastone regolarmente diritto invece, immerso in acqua allo sguardo sembra piegato. Lo stesso vale per il linguaggio - il più vivace dei dialetti, stenografato risulta sulla pagina piatto, complicato e pesante - Volendo rendere per scritto l'effetto della spontaneità della vita parlata bisogna torcere la lingua in puro ritmo, cadenza, parole, ed è una sorta di poesia che produce un grande sortilegio - l'impressione, il fascino, il dinamismo - e poi occorre scegliere il proprio soggetto - Non tutto si può trasporre».
Le osservazioni di Céline sono di straordinaria importanza per un'estetica dell'audiolibro, anche se, rispetto all'intenzione celiniana, che cerca di 'far passare il linguaggio parlato in letteratura' è infatti necessaria un ulteriore 'contorsione' dell'opera. Lo scrittore di audiolibri deve essere capace di far passare il linguaggio parlato in letteratura in modo tale che, quando questa viene rappresentata nella narrazione, torni ad esprimere tutta la vitalità e l'immediatezza del linguaggio parlato. Il che è cosa ben diversa dalla lettura ad alta voce. Per continuare l'analogia, è come se dovessimo spezzare leggermente il nostro bastone per immergerlo nell'acqua ma, in modo tale che, una volta estratto, torni ad essere diritto. Questo 'grande sortilegio' è l'autentica sfida dell'audiolibro.
Da quando detto si può dedurre che quella particolare opera letteraria chiamata 'audiolibro' per certi versi esiste già, per altri invece, non esiste ancora. Esiste, vorrei dire, sotto forma di prassi locali che nel loro intreccio di somiglianze e differenze agiscono una serie di presupposti estetici e letterari. Non esiste ancora se, da quelle prassi locali, si cerca di risalire alle condizioni di possibilità che ne definiscono lo statuto.
Se dunque è vero che l'oggetto di un'estetica dell'audiolibro è, per certi versi, già presente, altrimenti non avrebbe neanche senso parlare di un'estetica dell'audiolibro, è altrettanto difficile sostenere l'esistenza di una 'tradizione' o una 'definizione' forti, cui fare riferimento. Ci sono piuttosto una molteplicità di tradizioni o sperimentazioni basate su accordi pragmatici e teorie più o meno implicite.
Questo è il paradosso di un estetica dell'audiolibro: da un lato, scopre e riflette su un qualcosa di 'già dato', dall'altro, deve contribuire, partendo dal 'già dato', alla definizione delle condizioni di possibilità per lo sviluppo del suo stesso oggetto, che non è un 'dato' e probabilmente non lo sarà mai.
Un paradosso, certo. Ma del tutto atteso, in un certo senso inevitabile. L'opera d'arte, per sua natura, non può non essere 'messa in gioco' e il mettersi in gioco dell'opera comporta un 'rischio', che ne caratterizza la sua specificità, il suo stare sul limite del senso e del non-senso. D'altra parte, vi sono 'giochi' con regole ben definite ma, come osservava Wittgenstein: «non si dà anche il caso in cui giochiamo e - 'make up the rules as we go along'? - E anche il caso in cui le modifichiamo - as we go along - [4]». Lo stare nel gioco e, al tempo stesso, modificarne le regole, è uno stare contemporaneamente dentro e fuori il gioco, uno stare sul limite, appunto, il limite dove l'opera letteraria e riflessione estetica tracciano il loro dialogo, predisposte, entrambe, all'ascolto e alla parola.
Roma, 6 Giugno 2007
[1] È interessante notare come questa concezione influisca sul mercato editoriale. Ancora oggi il mercato dell'audiolibro stenta a decollare proprio in quanto si cerca di trovare una via economicamente sostenibile (in termini di diritti d'autore) alla realizzazione di opere derivate da testi di autori contemporanei. Ci si pone cioè in un'ottica di multicanalità dell'offerta editoriale che dovrebbe essere, per così dire, 'duplicata' in forma audio. Resta per il momento fuori discussione l'idea di attivare produzioni specificamente pensate per essere ascoltate attraverso iPod o lettori mp3 in genere. Ovvero un'opera audio che sia nativa e non derivata a posteriori.
[2] Questo è, ad esempio, uno dei principi guida del progetto podbook: www.podbook.it
[3] Lettera a Milton Hindus, francesista e scrittore americano.
[4] L. Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, §§ 83.
F. CÉLINE, Lettere dall'esilio 1947-49. Lettere a Milton Hindus, Rosellina Archinto, Milano, 1992.
E. GARRONI, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano, 1992.
L. WITTGENSTEIN, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino, 1983.