di Maurizio Grilli
Sono esausto di modernità. Ho accumulato una tale nostalgia, che accetterei qualsiasi distruzione, pur di liberarmi finalmente dalla modernità. Nostalgia di cosa? È questo il punto. La nostalgia che sento è nell'aria attorno, è nostalgia di un tutto. Non è cosa attiva, sano andare in una direzione, perché vi ci porta il cuore. È cosa reattiva. È una reazione incontenibile alla rimozione che la modernità ha operato, portando al suo stadio estremo un processo materializzato tre secoli prima, ai suoi albori, da Descartes. Quel suo mettere il pensiero, il sapere pensare al primo posto nella scala dei valori ha inaugurato una nuova età e fu la cifra di quanto effimera e superficiale fosse stata negli attori del rinascimento la voglia di ritrovare lo stesso spirito che aveva mosso gli antichi. I cosidetti umanisti non sono riusciti ad alzare lo sguardo dai loro libri al cielo, all'osservazione estasiata della natura. Così davvero si sarebbero reincontrati con un'età che era invece diventata definitivamente un mito. Dunque "sono perché penso". Ecco la conclusione del viaggio di Descartes attraverso l'esistenza umana alla ricerca di ciò che con certezza assoluta si potesse affermare. Certo, c'è anche il sentire, questo egli non lo ha negato, ma la sua passione filosofica era diretta da un'altra parte. La verità cui Descartes giunse, era parte vivente di una visione totale. I posteri l'hanno scorporata e ne hanno fatto un dogma.
Non ne posso piú di modernità e neppure di tutte le becere reazioni che ogni tanto si manifestano per poi riacquietarsi subito o quasi e non cambiare in sostanza nulla (penso al 68) dopo la loro fase distruttiva o allucinante. Del proliferare della gente che si mette su troni da dio e che pretende di salvare l'umanità con un gesto della mano o una frase miracolosa prima ancora di avere riconosciuto la propria miseria (penso alla politica attuale e alle paludi new age). Da Francesco di Assisi avremmo dovuto imparare che la salvezza è cosa individuale, che ognuno può raggiungere solo con un processo interiore e che un ottimo modo per aiutare gli altri è trovare un'armonia con il proprio mondo, perché nessuno ha accesso a un mondo altro al di fuori del proprio.
Non c'è motivo di essere particolarmente orgogliosi dell'era moderna. I danni e le pene che ha causato possono compensare qualsiasi bene. Nessuna cultura precedente è riuscita a distruggere in così grande stile. E a nessuno venga in mente di giudicare una parte degli avvenimenti della modernità estranei ad essa. È proprio l'essenza della modernità ad avere generato, a generare le mostruosità che detengono il primato nella storia: una visione del mondo, una "Weltanschauung", che ha come carattere di fondo il razionalismo.
Modernità e razionalismo potrebbero essere usati come sinonimi. Alla base dell'agire umano moderno c'è il calcolo. Per ogni evento si ricercano le sue componenti commensurabli. Nel commercio, nella scienza, nella politica, in arte, in musica, in filosofia, nalla vita di tutti i giorni, nei rapporti interpersonali, in psicologia: tutto è frutto di calcolo. A questo fine ogni elemento della natura è ridotto ad elementi calcolabili. Ciò che non è calcolabile, non esiste per l'uomo moderno. In marketing, per esempio, non si parla di persone e neppure di clienti, si parla di segmenti, di tratti psicografici, di fasce d'età. Una ditta che produce pannolini calcola i sederini esistenti nel totale, i sederini che sono già puliti e asciutti grazie alla concorrenza e dalla differenza i pannolini che produrrà. È tutta una questione di numeri. E lo stesso vale per tutti i settori del commercio regolato dal marketing. Che io o un'altra persona acquistino un prodotto, non ha alcun rilievo per il produttore. Per questo contano solo i numeri. Solo se corrisponde ai numeri e alle statistiche questo commercio ha un senso. L'atto singolo non vale nulla. Ogni attore della produzione ha il suo apparato di calcoli e risultati numerici che guidano l'agire umano. Ci sono sistemi di informazione chiamati "Data Ware Hause" e strumenti di elaborazione e visualizzazione di questi dati, raccolti sotto la sigla OLAP (OnLine Analysing Processing), progettati per mettere insieme in un calderone miliardi di informazioni che per lo piú non hanno a che fare niente le une con le altre. Obiettivo mostruoso: il calcolo delle abitudini dei segmenti, prima ancora che questi ne siano consci. Le industrie che già hanno spesso il quasi monopolio di un settore, cercano di spremere succo anche dal bicchiere dove il succo è stato bevuto: vogliono insinuarsi nel cervello della gente, arrivare a vedere che cosa sogna e vendergli l'oggetto del desiderio prima ancora che il desiderio si materializzi.
Il delirio del calcolo dell'uomo moderno è totale. I passi della gente per le strade, le pubblicazioni editoriali, la gita della domenica, la maturazione dei frutti, le prestazioni sportive, sessuali, professionali, le vacanze, le fiere, le feste di paese, le mostre d'arte, le scoperte scientifiche: è tutto inserito in una gigantesca maglia di calcoli. La modernità è nella prigione dei suoi calcoli. Nulla importa se qualcuno ci muore rantolando di fianco, se la natura va in pezzi, se non sappiamo più che cosa sia il sentimento, se abbiamo il mal di pancia, il mal di schiena, il mal di testa, se non guardiamo più i tramonti e non facciamo più l'amore: le pupille della gente della modernità sono occupate dal calcolo.
Ma la ragione e la legge per la quale tutto ciò è profondamente sbagliato non ha la forma di un calcolo. Tutto ciò dovrebbe fare venire male al cuore, dovrebbe dare sensazioni, dovrebbe dare la certezza al di là del dubbio, la certezza della fede. E non è certo la fede in un dio a cui penso. Fede non ha nulla a che fare con dio. Essenza della fede è la profondità insondabile delle sue radici, è legame con le cose che ha luogo là, dove la luce della ragione non può arrivare. Così questi nervi profondi dell'esserci umano dovrebbero essere la guida effettiva del suo agire. E alla fede è strettamente legata la preghiera, il cui elemento più importante è il silenzio e la quiete, la tensione totale all'ascolto di ciò che il nostro legame profondo con la natura ha da dirci. Se l'uomo della modernità smettesse di narcotizzarsi la sfera della fede con una miriade di droghe e frastuoni, vedrebbe quanto si è spaventosamente allontanato da casa. Spegnerebbe le luci di tutte le città e starebbe solo ad ascoltare il suo respiro. Qualche pazzo si butterebbe giù dalla finestra e gli altri potrebbero cominciare un'altra era fatta di piaceri e dolori da umanità integrale.
Purtroppo però credo che Baudrillard abbia ragione: per tornare ad uno stato originario, c'è sempre bisogno che un'evoluzione finisca con una catastrofe. Allora ben venga la catastrofe, purchè finisca la modernità. Allora si ricostituirebbe l'unità di scienza e filosofia, di arte e tecnica. Perderebbero senso parole come estetica, scienza pura e tutta la famiglia degli "ismi" svanirebbe. L'artista tornerebbe ad essere artigiano che non si cura di arte, ma della sua materia, per scoprirne le qualità più intime, per entrare in sintonia con la sua costituzione fondamentale. Lo scienziato tornerebbe a farsi guidare dalle sue visioni, invece di vendersi alle ricerche prezzolate da interessi industriali. Arte, scienza e filosofia tornerebbero ad essere - riconosciute e promosse da una società matura - le rare espressioni più nobili dello spirito che ritroverebbe così la sua unità, perduta con l'inizio della modernità.
Colonia, 14 Febbraio 2003