La Critica

«La Carta dell'Ippopotamo» (*)

di Maurizio Grilli

 

Se dio ci fosse, sarebbe un ladro balordo del Bronx, che si diverte ad ammazzare. Sarebbe un ladro maligno, antipatico, persino ipocrita e quel che è peggio, intelligente, scaltro. Il suo corpo sarebbe filiforme, sostenuto dai nervi, la sua voce stridula e spiacevole. Sarebbe ed è il dio dell'uomo.

È l'uomo insensibile ad avere messo dio in cielo, a poter immaginare che possa esserci un dio in cielo con tutte le catastrofi che sconvolgono il mondo. Gli uomini migliori, i pochi sacerdoti che l'umanità abbia avuto, hanno sentito il mistero nelle cose più vicine e quotidiane. In un sasso, in un fiore, negli occhi di un animale, in una nuvola che passa leggera e si dissolve subito e per sempre. Sono i S. Francesco, i Pitagora, i Parmenide, i Martin Luther King, i Gandhi, le Maria Teresa di Calcutta, le Saffo, i Gesù di Nazareth. Il cristianesimo è durato una trentina d'anni in realtà. Tutto il resto è cattolicesimo. Niente a che fare. E il fatto che io lo possa dire, senza venire bruciato, dimostra che anche il cattolicesimo è finito.

I pochi sacerdoti dell'umanità hanno avuto fede, ci hanno rimesso la vita per la loro fede. Meglio perderla questa vita, che passare indifferenti accanto a un uomo che soffre. Con l'indifferenza si infrange un principio che non è protetto da nessuna legge, né punito da un tribunale. È l'ordine e l'armonia intrinseca alle cose a venire ferita. E sono le cose che poi sbattono in faccia agli uomini le conseguenze della loro indifferenza. L'uomo d'occidente ha perduto questa sensibilità. Di fronte a una malattia, a una caduta si precipita sul calcolatore, dallo specialista, affinché con un calcolo definisca il problema e con un altro trovi la soluzione.

Noi qui in occidente non siamo più abituati ad interrogare prima il nostro cuore, la nostra sensibilità. E per lo più il nostro cuore saprebbe perché noi in quel momento stiamo male. Sarebbe dunque meglio, invece che correre a comprare antidolorifici, passare tre giorni a letto ascoltando la nostra sofferenza. Non servono occhi, né orecchi o altri strumenti. Bisogna stare lì fermi e in silenzio e ascoltarsi. E poi, passato il dolore, essere uomini un po' migliori, che significa rispettare le cose non per una legge dell'uomo, ma per le leggi non scritte intrinseche alle cose stesse. Il mitico re di Tebe, Edipo, ha trovato la sua strada e la sua pace solo dopo essersi accecato. E questa dunque non è una metafora, ma una verità tanto profonda da farsi mito.

Dalle sofferenze sotterranee e mascherate da tanti sorrisi di maniera stampati pro forma sui nostri volti, ma più spesso rivelate dai musi lunghi che, senza neanche saperlo più, ci portiamo in giro per le strade tutto il giorno, dovremmo sentire l'invito delle cose ad aprire il pugno in cui teniamo serrati come in un crampo i fili del nostro presunto potere sulla natura (nostri simili compresi), l'invito a tornare ad accettare di essere parte della natura, ad accettare la possibilità di soccombere. Sì, perché che noi siamo parte della natura e possiamo soccombere è cosa certa. Anche se ci crediamo onnipotenti e ci siamo creati un dio adeguato che può fare "quello che vuole" – anche, bellissimo e amaro sarcasmo – dare l'incarico agli ippopotami di uccidere per lui. Ma un dio così non c'è e neanche di altro tipo.

C'è un mondo fatto di meraviglie e di dolori, un tempo fatto di momenti sublimi e altri che passano senza lasciare traccia nella memoria e che noi dobbiamo amare e rispettare così come sono. Noi uomini siamo soli nell'universo, dovremmo cominciare a capirlo e a non buttare più cartacce per terra, perché poi non c'è proprio nessuno, né la mamma né tanto meno un dio, che le raccolga per noi.

Colonia 31 Ottobre 2002

 

(*) «La Carta dell'Ippopotamo» è una commedia di Anthony C. Winkler, tradotta dall'inglese da Gian Paolo Armati e recitata per la prima volta il 20 Ottobre 2002 con sole voci al caffè "Lichthof" di Colonia.


[Copertina] [Sommario] [Archivio] [Colophon] [Corrispondenza @]