La Critica

Videotrance

di Alessandra Cigala
 

«Nuovi organi di percezione sono venuti ad esistere come risultato di necessità, pertanto accresci le tue necessità cosicché potrai accrescere la tua percezione»

                              (Jelaluddin Rumi, XIII sec. d.C.)
   
Partiamo da una consolidata interpretazione antropologica delle forme più arcaiche di ritualità dionisiaca: se è vero che la trance si può considerare il fenomeno originario che ha dato vita a tutte le successive forme di teatro sviluppatesi in epoca storica nel mondo occidentale, e che il teatro stesso vede la sua nascita quale istanza regolatrice della trance, si può dunque leggere tutta la sua storia e, più in generale, tutta la storia dell'arte come un tentativo, forse impossibile, di riportarsi a quella condizione aurorale, o che si presume originaria, al punto da evocare una nuova epoca heideggeriana di vicinanza all'Essere.

Nel mondo contemporaneo, segnato dal dominio della tecnica e dall'inevitabile confronto con la tecnologia, l'arte (il cui etimo ha peraltro origine nel greco «téchne») è costretta a misurarsi con essa. Vi è una lettura estetica che in questi tentativi di fronteggiare l'innovazione tecnologica, assimilandone  talvolta la logica e  appropriandosi dei nuovi strumenti, vede solo una ricerca illusoria che in realtà lascia più che mai l'arte «radicata nella lontananza dell'Essere»; la speranza di inaugurare una nuova apertura epocale di rinnovato senso per l'arte, in questa chiave, è tutta nella totale assunzione dell'orizzonte tecnologico del presente quale campo in cui perdersi, espandendosi ed evaporando nello spazio-tempo sublime e totalizzante della rete globale: «Il vissuto corale della trance è oggi sostituito da quella specie di ipersoggetto elettronico che va nascendo dalle tecnologie della comunicazione istantanea e dalle reti telematiche...»; per ritrovare un significato che sia peraltro collegabile al presente contesto tecno-antropologico, occorre dunque «...pensare a una messa in scena della coscienza planetaria tramite eventi tecnologicamente espansi nello spazio-tempo che integrino, ma trascendano, tutti gli elementi del vecchio medium della rappresentazione» (1).

È una lettura che però sembra non tener conto del fatto che proprio dalle nuove tecnologie si possono attingere nuove possibilità percettive in grado di alterare, accrescendole, quelle capacità sensoriali che permettono all'osservatore di non essere più, appunto, solo un osservatore, ossia di non attivare unicamente lo sguardo, ma di sprofondare nell'opera, di esserci dentro. Il dispositivo elettronico ha la proprietà di far riscoprire percettivamente immagini e suoni: lo spazio dell'opera si modella plasticamente, diventa acustico, tattile, l'osservatore vi si immerge, entra in uno stato alterato, sensorialmente amplificato, in cui il sentire si associa a un'elaborazione interna,  approda a uno spazio di concentrazione mentale. La forte componente ipnotica presente nelle nuove tecnologie merita di essere considerata attentamente per le infinite possibilità psico-percettive che dischiude.

Se per stato ipnotico intendiamo uno stato alterato di coscienza indotto da un accrescimento delle possibilità sensoriali, ovvero che utilizza il nostro corpo come un meccanismo di biofeedback, e attraverso cui, quindi, si possano discernere meglio taluni aspetti divenuti inconsueti della nostra esperienza soggettiva(2), allora si può tranquillamente affermare che il dispositivo elettronico è uno strumento attraverso cui si può arrivare in modo solitario alla trance, in quanto provoca reazioni sensoriali che inducono uno stato alterato nella nostra esperienza conscia.

Molto banalmente si può ricordare quanto sia  frequente un'induzione ipnotica raggiunta  fissando il monitor del computer per un tempo prolungato, nell'attesa ad esempio di un collegamento Internet, o guardando lo schermo televisivo. Ed è proprio su quest'ultimo stato alterato di coscienza che più di vent'anni fa Muntadas ha portato la sua riflessione orientata in senso comunicazionale (3).

Ma è su un piano ulteriore e più significativo che ci converrà riflettere, quello dell'intensificazione percettiva prodotta dal mezzo audiovisivo: è il versante della dominanza del suono, che lo avvicina  al segno radiofonico, di cui già Arnheim aveva rilevato la capacità di coinvolgere un'aperta, ma non dispersa, complicità fantastica (4).  Suono che però non è mai disgiunto dall'immagine, perchè come le modalità sensoriali esistono simultaneamente nei nostri corpi, così il dispositivo elettronico ci fa immergere in uno spazio denso e percettivamente vibrante in cui tutti i sensi sono unificati.

«Il video è assai più sensibile di ciò che l'obiettivo "vede" e il microfono "ode"...» scrive Bill Viola, e tutto il suo lavoro in video, le sue installazioni sono agli antipodi del clichè che identifica le nuove tecnologie con il dinamismo, la frantumazione e i frenetici montaggi da videoclip. I suoi sono paesaggi mentali che vanno attraversati con calma, entrandoci dentro, muovendosi e respirando all'unisono con il ritmo del suo respiro, del suo lento camminare, immergendosi nel suo sguardo fino a provare l'esperienza estrema di entrare completamente nel suo spazio mentale (in «The Passing»).

Sono numerosi gli artisti che hanno saputo esaltare la componente ipnotica e insieme straniante dell'amplificazione percettiva propria del medium elettronico: il videoacquario di Nam June Paik, le videoambientazioni sempre più "sensibili" di Studio Azzurro, le infinite riflessioni sull'acqua di Plessi, il manifestarsi di piccole epifanie al lento ritmo del tempo di Robert Cahen... e si potrebbe continuare a lungo. Ma nessun artista come Bill Viola ha colto così profondamente le  straordinarie possibilità creative del mezzo elettronico come dispositivo per aprire, per dirla con Huxley,  le «finestre dell'anima», per farci vedere con l'occhio interiore del visionario (5).

Del resto l'esperienza visionaria, come le varie forme di estasi, meditazione, contemplazione, concentrazione, è una chiara manifestazione di stato alterato di coscienza indotto da un accrescimento delle possibilità sensoriali, una sorta di trance molto vicina all'«esperienza metafisica» o samadhi descritta da Zolla: «Quando la psiche che percepisce e le cose percepite, soggetto e oggetto, si fondono e assorbono a vicenda, avviene ciò che si può definire "esperienza metafisica"...»; «Quando in samadhi, si è immedesimati in se stessi, eppure si ingloba il mondo circostante; si è ritirati nella propria interiorità e allo stesso tempo espansi nella natura [...] La psiche in samadhi è unificata in se stessa e nel contempo è unita al mondo o, meglio, nelle parole di Leopardi, annegata nell'infinità dell'essere...» (6).

Ecco che forse allora per l'arte si dischiude la possibilità di ritrovare il suo spessore di significato e la sua natura aurorale proprio all'interno del medium tecnologico, cogliendone le possibilità di amplificazione percettiva e sinestetica per indurre una trance, che, se pur non vissuta più in modo corale come  quella originaria del preteatro, porta a immergersi nell'opera, "sentirla" e "sentirsi" con rinnovata intensità.

                                        Roma, Aprile 2000

Note

(1) Mario Costa, L'estetica dei media. Avanguardie e tecnologia, Castelvecchi, Roma 1999, pp.189-191.

(2) cfr. Richard Bandler, John Grinder, Trance-formations. Neurolinguistic programming and the Structure of Hypnosis, Real People Press 1981; trad. it. Ipnosi e trasformazione. La programmazione neurolinguistica e la struttura dell'ipnosi, Astrolabio, Roma 1983.

(3) Nella videoinstallazione «The Last Ten Minutes» (1976-77): una registrazione comparata operata su più canali televisivi nazionali degli ultimi dieci minuti di programmazione televisiva prima del segnale conclusivo, in cui sono veicolate in forma più o meno palese bandiere e immagini patriottiche ad uso di una platea oscillante tra  lo stato ipnotico e il sonno.

(4) Rudolf Arnheim (1936), Rundfunk als Hörkunst, Carl Hansen Verlag, München-Wien 1979; trad. it. La radio. L'arte dell'ascolto, Editori Riuniti, Roma, 1987.

(5) Aldous Huxley (1954, 1956), The Doors of Perception; Heaven and Hell; trad. it. Le porte della percezione. Paradiso e Inferno, Mondadori, Milano 1958.

(6) Elémire Zolla, Archetypes, Londra 1981; trad. it. Archetipi, Marsilio, Venezia 1994.


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