Se c'e' qualcosa di cui abbiamo sofferto,
e soffriamo,
e' di un difetto, di un'impotenza 
che finora non abbiamo saputo dire e che abbiamo percepito fin qui come un fastidio
costante in tutti questi anni
di oblomovismo telematico.
E non e'
il rischio di
debordamento della rete
sull'umano e viceversa.
E non e'
il pericolo di non
saper tracciare la linea
di demarcazione
tra il reale e il virtuale
e di non saper definire quante e quali
qualita'
debba avere un netizen per essere
considerato tale in quanto tale
" E non e' come una febbre alta o un delirio... "
Neppure sono in gioco
i dati di bilancio delle nostre 
"povere, sbraitanti,
striminzite individualita'",
delle nostre vite piccine,
piccinamente immense
Non l'abbiamo
saputo dire, ne' si lasciava dire,
giustamente.
In qualche modo
ora - ma troppo tardi: troppo
tardi per il nostro orgoglio
di eccessivi, selvatici
smodati, scienziati russi
del soggetto - ci soccorre,
ma senza volerlo, un termine
vagamente statistico la cui
mancata realizzazione - soltanto -
in questi anni ci ha turbati.
E che vuol dire, poi, troppo tardi?
Troppo tardi e' un tempo allegorico,
e la sua estenuazione. Eppoi
troppo tardi per il nostro
orgoglio e anche il piu' salutare
degli orgogli - si sa - preso
alla lettera, puo' far male.
Realizzare la convergenza digitale ci tocca, dunque: ci tocca di non
essere ancora pronti,
ci tocca di non capire esattamente cosa essa sia
ci tocca di capire se abbia o no
oggettivamente un significato
ci tocca di lasciarci prendere
dal potere vagamente evocativo
che la parola in se' (stavolta oggettivamente) ha. 
Ci tocca di andare ogni giorno piu' lontani
dalle cose fatte ...
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