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Non ho niente da dire

di Luca Miti

 

 

Non ho niente da dire: non c'è.
Forse non c'è mai stata.
O non la vedo.
E' un pezzo d'arredamento.
E' come quando le persone con le quali vivi, i familiari, diventano pezzi d'arredamento. E' una questione di abitudine. Di familiarità.

Cercavo un suono, o un'immagine; ma tutto è troppo familiare per parlarne: ci ho passato una vita, "insieme".
Sopra e sotto.

Un elenco, forse.

Con Francesco che correva come un matto la notte.
Di ritorno dallo "Gnocco rosso" (si chiamava così?) quella notte ubriachi fradici.
Quell'incidente quella sera con l'Alfa Romeo di Costantino (c'era pure Giovanni - si chiamava così?).
Con la pioggia, la notte, tornando a casa.
Qualche volta di giorno, bloccato in mezzo al traffico.
Di pomeriggio alla Tiburtina, a prendere Rossana.
Un giorno caldissimo di agosto c'è andato mio padre, a ritirare un pacco che gli avevo spedito.
Ma mio padre la faceva per andare allo studio di via Casilina o passava per via dell'acqua bullicante?
Spesso il lunedì sera per andare alla radio.
La notte, dopo le undici, ad un certo punto devo girare a destra per la stazione, ché sennò mi fanno la multa (poi passo per piazza Bologna).
Poi sbuco alla Batteria Nomentana e sono a casa.
"Le persone non sono cose".

Ho detto tutto?

Ma poi, cos'altro avrei potuto dire?

Roma, più o meno la metà di febbraio, e poi un po' anche ottobre del 2007

Luca Miti

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