La Critica

Dove Forma ed Evento s'incontrano

di Maria Giorgia Vitale

La presente riflessione prende in esame il pensiero di Carlo Diano, ci si soffermerà sul suo porre in evidenza le due categorie di Forma ed Evento entrate nel dibattito filosofico sul mondo antico, mostrando le implicazioni estetiche relative ad una fenomenologia dell'arte, secondo la quale l'arte non è altro che un rifacimento della nostra vita e che il «fare dell'arte è un fare del senso». L'artista cioè, nel dipingere una tela, o nello scolpire una statua, o nello scattare un foto, consente al fruitore di avere una percezione del mondo, un punto di vista differente con un'intensificazione di senso rispetto alla quotidianità che lo circonda.

Un contributo molto importante di Diano è stato proprio l'elaborazione teorica delle categorie di Forma ed Evento, con le quali egli ha interpretato il pensiero greco.

Diano ricerca l'unione di Forma ed Evento, unione che non porta ad una dialettizzazione, ossia ad una sintesi che annullerebbe tale dualità, ma genera una polarità in quanto sono due categorie l'una legata all'altra e questo legame comporta un'armonia che, a pensarci bene, coincide con il logos eracliteo: «L'opposto in accordo e dai discordi bellissima armonia» [Eraclito, 18 (8)]. Perciò gli opposti vanno raccolti insieme, pur mantenendo la loro singolarità e reciproca opposizione.

Forma ed Evento sono l'una in continua tensione con l'altra, senza necessariamente fondersi. Ed è nell'arte che tutto ciò avviene.

L'arte è «forma ed evento in uno» [C. Diano, 1973], ma non si tratta appunto di una sintesi, bensì letteralmente di figure concrete, della loro plasticità in quanto è l'uomo che guardando la figura coglie la forma, che non è una pura forma, ma una forma eventica ed essendo tale è speculare perché diventa visibile nella ripetizione dell'evento. L'evento è tale perché sta in un rapporto polare con la forma e viceversa. In altre parole, la forma dell'evento è evento essa stessa nel suo manifestarsi durante la fruizione dell'opera d'arte.

I due termini di Forma ed Evento derivano dal greco, la Forma è l'eidos, mentre l'Evento è la tyche, o, dal latino, id quod cuique evenit hic et nunc (ciò che a ciascuno accade qui ed ora). E' l'evento stesso a determinare l'hic et nunc. Ad esempio, se io vedo cadere una foglia, sono io a determinare tale evento qui ed ora, ma allo stesso tempo quest'evento deve essere legato necessariamente ad una forma che rappresenta la cosa veduta che appare e che viene percepita nel tempo dell'evento, che è ciò che accade all'uomo. Quindi, un qualsiasi accadere nello spazio e nel tempo non basta a farne un evento; perché l'accadimento sia un evento è necessario che l'uomo lo senta come se accadesse per sé. Ora la forma in quanto tale è fuori dal tempo, perciò bisogna che la si storicizzi, ossia bisogna che sia eventica, che appunto appaia. Ed è l'uomo che possiede questa capacità: porta all'apparire le cose attraverso l'evento che non è altro che il fenomeno. Il fenomeno è l'evento per eccellenza, è ciò che appare e lo fa in una determinata forma. Ecco il loro essere legati l'uno con l'altra.

A proposito dell'hic et nunc: la sensazione in atto, in quel "qui ed ora", è vera. Spesso ci si imbatte nel pregiudizio che i sensi ingannino, che la percezione non ci dica il vero. Ecco, non è proprio così. Esiste una verità della sensazione, una verità dell'apparenza, ad esempio quando gusto un pasticcino alla crema, per me, in quel preciso momento, è buono e dolce; ed è vera quella sensazione che ho provato, insomma è sottratta al flusso eracliteo. Semmai, l'errore sta nel giudizio.

Tornando a Diano, egli, per affermare che l'arte è quel luogo dove Forma ed Evento s'incontrano, si sofferma su Platone mostrando, attraverso quest'ultimo, che nel mondo greco esistevano già tali categorie, anche se non erano ancora formalizzate. Platone parlava di aletheia e di epiphaneia. Tra le due esiste un precario equilibrio, andrebbe ricercato un centro, un perfetto incontro, in quel che definisce exaiphnés (improvviso) che il filosofo greco individua nell'arte.

Quindi l'arte è un incrocio tra l'aletheia, una verità immobile che coincide con la pura forma, e l'epiphaneia, una verità dinamica che coincide con il puro evento. Nell'arte questa unità si ha nell'attimo, in quel exaiphnés platonico che se sottratto verrebbe meno l'unione delle due categorie; l'arte partecipa così di entrambe nell'istante.

Ora, nell'arte c'è una pluralità di senso e quest'ultimo fa parte della vita dell'uomo: il senso è sempre vero perché «la sua verità è la verità dell'individuale» è, in quanto tale, «al fondo non solo della percezione, ma di tutta la vita dell'uomo, in qualunque suo atto» [C. Diano, 1954, p.138], quindi la «verità dell'arte è la verità del senso», il senso delle cose. Nell'arte si ha un rifacimento degli eventi quotidiani, in essa è presente un tessere mimetico che viene sganciato dal riferimento reale ai fatti perché la verità sta nella verisimiglianza di quest'ultimi. Ce ne dà conferma Aristotele quando distingue la storia dalla poesia: il compito del poeta è narrare non le cose che sono accadute, ma quelle che potrebbero accadere, quelle «possibili secondo la verisimiglianza o la necessità» [Aristotele, IX, 145Ib]. Lo storico descrive ciò che è avvenuto nel suo particolare, il poeta narra ciò che è verisimile, cioè imita un possibile agire umano. Sarà poi il lettore ad intravedere le svariate possibilità nella narrazione.

Mi viene un dubbio: che sia stato solo un pretesto quello di Diano di soffermarsi su Platone per richiamare quell'unità di Forma ed Evento che avviene nell'arte?

È proprio Platone infatti a condannarla. Precisiamo: la condanna è rivolta a quell'arte intesa come interpretazione, come mimesi nella quale c'è la menzogna (pseudos) delle cose reali. L'arte è un'imitazione della cosa e la cosa è una copia dell'idea, quindi si ha un'imitazione di un'imitazione, una copia di una copia.

L'arte così intesa allontana l'uomo dal vero, dal mondo delle idee in quanto ciò che si identifica con il termine reale è il fenomeno, un'apparenza sensibile, invece il vero è l'eidos, l'idea. Tuttavia, il filosofo greco considera anche l'arte come metessi, ossia come partecipazione all'essenza delle cose. Da questo punto di vista essa ha un carattere pedagogico in quanto ordina il caos della realtà sensibile riconducendola all'armonia che si può trovare solo nella musica. È una condanna in nome dell'ideale della mousiké ispirata in quanto solo essa può condurre alla visione del bello e quindi del vero.

Dunque Diano, attraverso Platone, prescindendo dalla condanna di quest'ultimo, ci vuole dire che l'arte, intesa come rapporto polare delle due categorie, attraverso l'armonia (musicale), vuole educare l'uomo e che l'immagine, seppur copia di un'idea, è il modo più efficace di mostrare l'idea stessa. Detto altrimenti, l'arte come mimesi, ossia come finzione, è speculare, ed essendo tale riflette il suo carattere di verità. Fondamentale è che nel comprendere un'opera artistica, ci sia coscienza della sottile linea tra finzione e verità [F. Desideri, 2004, p.126].

Oggi, è ancora presente la tradizione platonica. È a causa di essa che si considera l'immagine come qualcosa che, nel suo manifestarsi è pura apparenza, cioè ci svela un lato meramente esteriore di un determinato oggetto che viene imitato. Ma è qui che sta il punto focale del problema: è proprio per il suo carattere fenomenologico che l'immagine investe l'uomo di senso. Se non ci fosse senso nel fare dell'arte, cosa vedremmo?

Sicuramente l'arte è cambiata nel corso dei secoli. Si ha un approccio diverso quando si è davanti ad una scultura marmorea classica e quando invece si è di fronte ad oggetti (spesso si tratta di oggetti del nostro vivere quotidiano) che si trovano all'interno dei musei e specificatamente nella sezione di arte contemporanea.

A volte l'arte contemporanea può apparire difficile, non si sa che tipo di approccio si deve avere. Forse è un cliché o forse no, ma oggi essa appare come una disciplina intellettualizzata. Ma se invece di pensare che l'arte sia riservata ad un'èlite intellettualoide – abbandonando così, una volta per tutte, i preconcetti riguardo a quest'idea – si cercasse di cogliere veramente il linguaggio che l'arte del nostro tempo costituisce, forse avremmo testimonianza che davvero l'arte è quel "tessere mimetico" nei confronti di una realtà che altrimenti non riusciremmo a comprendere. Anche se si pone una ulteriore questione: esiste una discrepanza fra l'élite intellettuale alla quale sembra destinata l'arte d'avanguardia e la massa alla quale dell'arte non resta che l'apparenza esterna, dal momento in cui si è stabilito che i fenomeni artistici comprendevano l'attuazione di quadri, di statue, senza tener conto di ciò che poteva interessare all'uomo della strada [G. Dorfles, 1970].

Marcel Duchamp, per esempio, quando ha considerato arte un orinatoio, una ruota di bicicletta su una sedia, ha sostanzialmente spostato tali oggetti dal loro contesto quotidiano e li ha decontestualizzati, o meglio li ha traslati sul piano artistico. Di conseguenza cambia anche il concetto di artista il quale non mescola più colori per crearne di nuovi, non scolpisce corpi perfetti dalle linee delicate, ma dà senso ad oggetti banali e di uso quotidiano, è il cosiddetto ready made.

Importante è l'individuazione del ruolo dell'artista da parte dei fruitori. Essi riconoscono il suo ruolo in quanto è stato lui ad estrarre l'oggetto deponendolo in un ambito estraneo, diverso dal suo abituale impiego. Anche perché l'opera d'arte intesa come un artefatto è riducibile ad un oggetto tecnico in cui il ruolo dell'artista risulterebbe inessenziale [F. Desideri, p.90], mentre se la consideriamo propriamente come un'opera artistica diventa fondamentale la posizione di colui che la fa perché, nel realizzare tale opera, emerge uno stretto rapporto tra l'intenzionalità dell'artista e la sua realizzazione [p. 92].

Il fatto di attribuire dignità artistica ad un oggetto comune desta ancora dubbi e incertezze, nonostante il fatto che, nei più importanti musei di arte contemporanea, siano riservati grandi spazi per l'esposizione di tali oggetti. Però, al contempo, si può essere decisamente d'accordo con una nota affermazione di Giulio Carlo Argan quando, riferendosi alla Gioconda con baffi e pizzetto, sostiene che «Duchamp non vuole sfregiare un capolavoro, ma contestarne la venerazione che gli è attribuita passivamente dall'opinione comune» [L'arte moderna, 1970; ora anche in Lara Vinca Masini, L'arte del Novecento, 2003].

Il problema, secondo me, riguarda il ruolo che riveste chi conferisce lo statuto artistico ad oggetti del nostro quotidiano decontestualizzati, "mutandoli" in arte. Mi sto riferendo ai galleristi, ai curatori e soprattutto ai critici, sono loro che dettano le regole. Se ci pensiamo bene, tutti saremmo capaci di prendere un oggetto e affermare che è artistico in quanto ha un determinato senso. Paradossalmente tutti potremmo essere artisti. Ma sono queste figure, riconosciute come esperte, che giudicano e differenziano un oggetto artistico da un oggetto banale. Però, ed è qui il mio dubbio costante, come si può differenziare?

Sorge un altro problema. Spesso ci si accosta all'arte in modo molto passivo, senza slanci emozionali. A mio parere, manca anche una certa educazione e talora un effettivo interesse. Penso sia una questione di sensibilità. Forse in un primo momento qualcuno riderà di fronte ad una Gioconda baffuta ma, in un secondo tempo, non potrebbe soffermarsi a chiedersi perché l'artista ha inserito un "accessorio" su un'opera da tutti considerata universalmente bella?

Molti considerano l'arte contemporanea un "luogo" di protesta, di provocazione e di critica sociale. Ma non deve essere anche questo l'arte? L'artista esprime un concetto, un sentimento nell'istante in cui sta creando l'opera, ci vuole pur sempre dire qualcosa; ecco perché ci sono svariati rimandi quando si osserva un'opera d'arte, che sia essa una fotografia, un dipinto o una statua, si percepisce il linguaggio dell'arte nel quale è presente un'intensificazione dei sensi. Magari qualcuno ne coglierà di più, qualche altro di meno o addirittura nessuno.

Insomma oggi viene data maggiore importanza al ruolo dell'artista. Parlando di arte contemporanea, esiste un settore pseudo-artistico definito Kitsch il quale viene spesso snobbato dagli storici e critici d'arte in quanto viene considerato un settore di non-arte. E' quel cattivo gusto che disturba la sensibilità più elevata e in qualche modo è gradito a chi ne ha meno. Però sono proprio alcuni artisti che hanno dato una certa dignità rivalutandolo con il termine camp, ossia una sorta di Kitsch redento e diventato in [G. Dorfles, p. 25] proprio per il fatto di essere elevato agli «Altari del Gusto». Allora potrebbe essere che proprio grazie al Kitsch quella netta separazione del pubblico elitario dalla gente della strada potrebbe venir meno? Probabilmente sì, perché l'opera considerata Kitsch è immediatamente comprensibile e fruibile da tutti indistintamente. Proprio la semplicità e a volte la banalità delle opere Kitsch frena un livello interpretativo diverso e più consapevole.

Se ci pensiamo bene il Kitsch non riguarda solo il campo artistico. Oggi ciò che ci circonda (non tutto e per fortuna) è "squisitamente" Kitsch: il nostro linguaggio, il cinema, la musica, il modo di vestire. Noi stessi siamo Kitsch.

Tuttavia il cattivo gusto e il brutto sono stati rivalutati in tutti i settori, sono presenti nella nostra società e nel nostro quotidiano. Magari l'artista di tale genere non sarà un iniziatore di una corrente avanguardista, ma non sarà disprezzato certamente per quello che fa. Dorfles si domanda a quale arte vada applicata l'etichetta del buono o cattivo gusto e a quale pubblico vada ricondotto. Ma il problema riguarda il gusto o il fatto che il primato dell'uomo contemporaneo sia la produzione e il consumo? In modo specifico, oggi esiste un consumo dell'arte e una sua produzione in quanto, come sottolinea Dorfles, si considera l'arte come qualcosa di simbolico, dove il simbolo è inteso come un segno in cui, per convenzione, l'immagine iconica è legata ad un significato. E sebbene si possa perdere ogni notizia riguardo il valore convenzionale che teneva uniti l'immagine con il suo significato, potrà rimanere una «significanza»[G. Dorfles, p.73]. Ecco perché alcuni moduli formali e patterns si ripresentano ai giorni nostri, anche se con una funzionalità diversa, slegata da quella originaria. Ma di chi è la colpa?

Oggi l'uomo viene investito dall'arte, la subisce attraverso i meccanismi di riproduzione a causa dei mass media che ci rifilano una determinata musica, un certo film, un dato balletto, abbassando nettamente il loro valore artistico e rendendo tutto ciò altamente mediocre. I mass media sono i nuovi educatori della società contemporanea: ci guidano alla mediocrità. Ma il pericolo è un altro.

Dorfles mette in luce due punti ritenuti rischiosi per l'arte: per primo l'involontarietà della fruizione in quanto l'uomo subendo l'arte, non le dà la giusta attenzione, si riscontra un «ascolto disattento» e quindi, nonostante l'arte propinata dai mass media, si assiste ad una carenza di «con-partecipazione» da parte del fruitore. In secondo luogo c'è la falsità della riproduzione artistica in quanto un'opera d'arte, sia essa un dipinto o un brano musicale, viene riprodotta in modo sconsiderato. Queste riproduzioni non sono neanche copie più o meno buone di quella originaria, sono «atti meccanici di replica» attraverso i quali il dipinto, la statua, il brano musicale vengono ricopiati in migliaia di «esemplari identici ma inautentici». Queste opere non erano state create per una riproduzione in serie, dovevano essere senza eguali. Questa falsificazione di opere d'arte rende maggiormente «grossolano il gusto del pubblico».

La riproduzione delle opere d'arte è sempre avvenuta; gli allievi delle accademie per potersi esercitare riproducevano le opere dei loro stessi maestri. Ciò che cambia nella nostra epoca è la «riproducibilità tecnica». A partire dall'avvento della fotografia, cambia la concezione di immagine fissata su un supporto. La fotografia ci permette di cogliere degli aspetti di un soggetto originale che sono percepibili solo dall'obbiettivo (attraverso, ad esempio, lo zoom), e non direttamente dall'osservatore, cioè si assiste ad una sorta di decadimento della mano per far posto all'occhio che guarda dietro l'obbiettivo in quanto «l'occhio è più rapido ad afferrare che non la mano a disegnare» [W. Benjamin, 1955, p.21].

A causa della riproducibilità tecnica viene a mancare un elemento essenziale: l'hic et nunc. Ciò che viene meno è l'aura, cioè l'unicità, intesa nella sua autenticità. Detto in altri termini si assiste alla perdita del "qui ed ora" che in qualche misura aveva un carattere magico ed unico che si fondeva con la creazione artistica e proprio per questo si contraddistingueva. L'hic et nunc e l'aura sono momenti della fruizione del'opera d'arte, di conseguenza rappresentano momenti della sua autenticità per chi osserva l'opera perché «lì l'opera vive, perché in essa il fruitore si rispecchia come soggetto» [Paolo Pullega, nota 1991, p. 175]. Ad esempio ascoltare un CD di un concerto di musica classica mentre si è immersi nel traffico (già questo presuppone un ascolto disattento) quindi al di fuori sella sua unicità spazio-temporale, significa spersonificarlo perché il suo valore unico si fonda nel rituale, nel luogo dove gli è stato attribuito originariamente il suo valore d'uso.

Benjamin collega la perdita dell'aura, nella società contemporanea, all'irruzione delle masse sulla scena. Il fine della riproducibilità tecnica è rendere accessibile l'arte a tutti, ma è proprio in questo momento che l'opera d'arte subisce dei limiti, nel senso che con la riproducibilità viene meno l'esperienza del fruitore che è caratterizzata dal "qui ed ora", ma aumenta il «valore espositivo».

Benjamin è consapevole che un'opera d'arte non è un fatto eterno, ma storico-transitorio. Il modo attraverso cui l'uomo percepisce un'opera è condizionata dal suo background, dal contesto storico-sociale dell'epoca in cui vive.

La ricezione di un'opera d'arte avviene secondo accenti diversi. C'è il valore cultuale e il valore espositivo. Il primo risiede nel nascondimento, e dato che ciò che rimane in parte nascosto ha un carattere sacrale, l'oggetto acquista l'aura. Perciò in passato il fatto che una certa opera fosse accessibile a pochi era più importante del fatto che fosse visibile. Invece oggi il secondo aspetto ha assunto maggiore importanza; esso emerge quando si avverte una lontananza dell'hic et nunc.

Oggi assistiamo al primato del consumismo, di conseguenza la quantità ha avuto la meglio sulla qualità e unicità di un'opera d'arte.

Per concludere questa serie di riflessioni, direi che, nonostante l'epoca nella quale viviamo (o sopravviviamo) - dove pare che niente e nessuno ci rappresenti - possiamo forse avere una speranza e una fiducia da riporre proprio nell'arte.

Il vero problema, insomma, non è tanto l'incidenza del contesto nella trasformazione di un oggetto qualunque in un fatto d'arte: la grande questione irrisolta riguarda piuttosto l'individuazione di quei valori estetici e, dunque, di quei criteri specifici in base ai quali si dovrebbe poter differenziare con la necessaria evidenza l'opera d'arte dall'oggetto ritenuto banale. Quindi - in ultima analisi - non è tanto lo statuto artistico attribuito all'oggetto, quanto la sensibilità dell'osservatore a far emergere il valore estetico di un'opera. Sensibilità che si può affinare grazie all'educazione, alla formazione culturale in senso ampio (più che a quella puramente "accademica").

Dunque, non desta certo preoccupazioni l'ipotesi che l'arte trabocchi nel piatto di chiunque sia in grado di mangiare. Resta invece il problema di come creare le condizioni necessarie affinché tutti siano davvero in grado di "assaporarla" e di "gustarla" pienamente. 

Catanzaro, 12 Gennaio 2011


Riferimenti bibliografici

Carlo Diano
Il pensiero greco da Anassagora agli Stoici
, a cura di M. Cacciari, Bollati Boringhieri, Torino, 2007

Eraclito
I frammenti e le testimonianze, a cura di Carlo Diano e Giuseppe Serra, Arnoldo Mondadori Editore, 2009

Aristotele
Poetica, a cura di P. Donini, Einaudi, Torino, 2008

Fabrizio Desideri
Forme dell'estetica, Dall'esperienza del bello al problema dell'arte, Laterza, Bari, 2004

Lara Vinca Masini
L'arte del novecento, Firenze, Giunti, 1989

Gillo Dorfles
Le oscillazioni del gusto, Skira, Milano, 2004

Walter Benjamin
L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 2000