Essere una vittima del "vivere secondo ciò che si pensa" vuol dire ignorare le possibilità di "un altro modo di vivere" o la possibilità di "sbagliarsi su come stanno le cose" o ignorare la possibilità di "non sapere quello che si pensa"[1].
Nutro una sempre maggiore convinzione che la nostra società stia abbandonando una parte non secondaria di se stessa. La conoscenza si pone in un ampio distacco dalla coscienza e sembra vedere in essa un punto di debolezza ed un freno alla continua crescita tecnologica ed economica. La formazione stessa degli individui, secondo questo modello predominante, è fatta di percorsi unici e non discutibili, come è unica la visione che la società in cui viviamo vuole dare di se stessa. L'idea di "protezione" che si è affermata su scala planetaria, nei confronti di chi potrebbe nuocere al "pensiero unico" solo ed esclusivamente per la sua diversità, si rivela sempre più una trappola. Il punto è se attraverso l'arte si riesca ad attivare una visione più complessa, sfaccettata e potenzialmente creativa della realtà in cui ognuno vive.
L'attenzione viene sempre più spesso concentrata sul mezzo che ci permette di eseguire un'operazione, costringendoci a perdere di vista il senso di tutto quello che viene messo insieme da queste parti sconnesse e scollegate tra loro. Si tratta di una specifica strategia che viene applicata anche nel quotidiano: frammentare, dividere, parcellizzare per far sfumare l'idea che sta alla base di tutto il processo, che tutti contribuiamo a tenere in piedi. In questo modo è normale che la coscienza, l'anima delle cose, lo spirito svaniscano in un ambiente asettico e frammentario. Il fare dell'Arte può, se ne ha la volontà, suscitare un nuovo interesse sulle cose che ci circondano, rivelarcene l'anima e rivelarci a Noi stessi. Una riflessione sull' "invasione tecnologica" in atto è utile a capire come inserire l'ambito tecnico-tecnologico nella formazione artistica. Avere competenze tecniche senza una parallela riflessione sul senso stesso dell'utilizzo delle nuove tecnologie può portare alla realizzazione di opere tecnicamente perfette ma "fredde". Senza il percorso del pensiero, senza la complessità del contesto in cui l'opera, il gesto, l'atto si inserisce, si rischia di dare vita a qualcosa di auto-referenziale, chiuso in sé e non penetrante, che non è vitale e che non deborda dal proprio mondo per suscitare una reazione nell'Altro.
La non-comunicabilità, a livello esistenziale, è divenuta arte fine a se stessa, non provoca una contro-reazione in chi vede, ascolta, recepisce; non è creazione se contribuisce al mantenimento della sensazione di incomunicabilità. Così chi propone un effetto spettacolare della propria visione abbaglia ma non nutre le coscienze, sbalordisce ma non lascia nessuno spunto, non stimola, non crea, non favorisce la ricerca dello sguardo, la maturazione partecipe del Sé. L'approccio all'arte elettronica, virtuale, digitale è caratterizzato da una dialettica di attrazione e repulsione: voglia di comprendere, curiosità e paura di essere riassorbiti, di non riuscire a mantenere un livello di consapevolezza tale da non perdersi in un mondo fittizio. Gene Youngblood nel saggio "Cinema elettronico e simulacro digitale"[2] ritiene essenziale, per la dignità e la sopravvivenza umana, la produzione di modelli di realtà possibili. In tal senso la realtà virtuale si pone al servizio della società civile proponendo contro-definizioni della realtà. L'artista dà l'input all'azione, spinge a reagire di fronte all'imposizione di valori per aprirsi una propria strada. Seguendo una riflessione di Enzensberger, "non esiste labirinto per chi lo ha attraversato", l'artista cerca di creare le basi per una migliore comprensione del mondo. Un atteggiamento che non è né di totale adesione né di rifiuto nei confronti dei media e della loro potenzialità: né la macchina che sostituisce l'uomo né un rifiuto acritico di essa. D'altra parte il contatto con gli strumenti tecnologici sembra inevitabile sia che si segua la linea di chi li considera "prolungamenti" o "protesi" degli organi sensoriali [3], sia che li si consideri ormai "funzioni separate" dal corpo umano, quasi "entità autonome"[4].
«Oggi la tecnologia nel video, nel cinema e in generale nel mondo dello spettacolo si concentra sulla produzione di roboanti effetti speciali che colpiscono lo spettatore ma lo defraudano della capacità di riflettere; il nostro lavoro invece si serve dell'alta tecnologia, dell'elettronica per far emergere elementi di spettacolarità nelle variazioni minime che hanno lo scopo di stuzzicare l'attività interpretativa e immaginativa dello spettatore»[5].
Fondamentale è la vicinanza dell'arte alla vita quotidiana: nodo saliente, su cui hanno riflettuto artisti a partire dalle Avanguardie Storiche, mai pienamente accettato dal mondo dell'arte perché corrosivo delle basi economiche del "sistema arte". Negli anni '60 questa necessità si è fatta sentire in diversi artisti con una forte volontà di recuperare un rapporto viscerale con le cose che ha portato la corporeità al centro del dibattito. Il corpo, nella sua totalità, deve rapportarsi continuamente con le evoluzioni tecnologiche affinchè queste seguano il movimento della vita. Secondo De Kerckhove il corpo, nella sua indivisibilità psicofisica e sensoriale, è il futuro degli artefatti tecnologici: "essi si attagliano al corpo quasi come una seconda pelle" [6]. E' una concezione sinestetica che si fa largo, tendente al coinvolgimento e all'interazione di tutti i sensi. Analizzare i mutamenti avvenuti nella percezione, nella concezione spazio-temporale, con l'avvento dell'era tecnologica significa comprendere, per gran parte, l'arte del '900: dal Cubismo fino allo spazio virtuale. Dall'introduzione della dimensione temporale nel quadro, comprendente più punti di vista, allo spazio dati di una simulazione tridimensionale al computer, dove non c'è nessun punto di vista. La virtualità rappresenta un diverso momento della tendenza umana all'allontanamento, della presenza fisica e materiale, dal reale fenomenico per una maggiore comprensione di esso. La video-arte, l'arte interattiva, la realtà virtuale in alcuni casi sembrano indicare modificazioni percettive profonde e, insieme, possibili modi di risposta [7].
Secondo un procedimento già usato da Duchamp, ossia decontestualizzando l'oggetto, creando una condizione di disorientamento conoscitivo, l'arte cerca di penetrare più a fondo i mutamenti in atto. In un certo senso questo aspetto spiazzante è stato "istituzionalizzato" e reso fine a se stesso; ora l'arte dovrebbe indicare una via, altri punti di vista, creare più che distruggere. Il ruolo dell'arte consiste oggi più che mai in una continua riflessione sul presente, sulle modificazioni in atto in seguito all'incontro con le tecnologie multimediali. Tra queste il problema dell'identità, perché una pura conoscenza tecnica non può dare vita ad una creazione senza una matura riflessione sugli usi e abusi di essa. L'espansione della nostra identità psicologica oltre i limiti della pelle e del corpo ha portato, per converso, ad un rafforzamento dell'idea di essere in un dato luogo, fisicamente. De Kerckhove parla di "punto-di-stato" che a differenza del punto di vista, che appartiene all'ambito razionale-simbolico, permette di tenerci in contatto con noi stessi, "punto di riferimento fisico nell'avvolgimento totale delle nostre proiezioni elettroniche"[8]. La sensazione fisica di essere in un dato posto e non altrove è un'esperienza tattile, ambientale; grazie al senso del tatto percepiamo la nostra presenza fisica; la vista non basta, anzi può essere ingannevole.
«C'è solo un luogo dove io mi trovo completamente, ed è dentro la mia pelle, anche se quella pelle e le sue estensioni tecnologiche hanno una portata che va ben oltre i limiti immediati della vista, del tatto e dell'udito»[9].
La percezione propriocettiva, del proprio punto-di-stato nel flusso di dati in rete, è fra le condizioni essenziali per riuscire a mantenere un maggiore controllo sulla propria localizzazione nel nomadismo elettronico. In una mostra tenutasi a Roma nel 2001, "Gravità Zero. Arte, tecnologia e nuovi spazi dell'identità", [10] si poneva l'accento proprio sul concetto di identità personale, sia nella dimensione legata alla determinazione spazio-temporale dell'io sia in quella che investe temi più generali, sociali, culturali, etici e politici. La mostra poneva di fronte ad una riflessione sul senso di sottrazione, di perdita e di illusorietà insito nelle nuove tecnologie. [11] L'effetto all'uscita dall'esposizione era infatti un senso generale di oppressione, di disorientamento, perdita di sé, dato dall'interazione delle immagini, alcune claustrofobiche, e dei suoni tendenzialmente aspri, striduli. Si poteva, genericamente, individuare o una tendenza a far prevalere un tempo ipervelocizzato con immagini che frastornano, o un rallentamento surreale, soporifero, narcotizzante, quasi da stato prenatale. Un effetto allucinatorio delle immagini elettroniche sullo stile delle immagini passate alla tv, dove la presa di coscienza dello spettatore tende ad essere negata. O una sensazione di nichilismo, angoscia e chiusura in sé. Altri artisti preferivano sottolineare quanto si possa apprendere dal mondo, anche dall'aspetto più insignificante, se solo gliene venisse data possibilità. Non si tratta di indicare una via o l'altra perché ve ne sono infinite possibili ma credo che con la provocazione frutto di un puro gioco intellettuale non si riesca a dare profonde radici alla nostra identità collettiva né a quella individuale.
«Inconsapevolmente interagiamo virtualmente con numerosi congegni elettronici e se non ne acquistiamo consapevolezza rischiamo di dissolverci in questi congegni»[12].
Secondo Jean Baudrillard l'obiettivo dell'arte è di non essere più guardabile, di sfidare qualsiasi seduzione dello sguardo, temendo di non poter più neanche opporre la verità all'illusione [13]. Dallo stesso punto di vista di Baudrillard parte il discorso di Paul Virilio, trattando le tematiche del simulacro, della velocità, della dematerializzazione dello spazio pubblico, della temporalità accelerata [14].
«L'azzurro è lo spessore ottico dell'atmosfera, la grande lente del globo terrestre, la sua brillante retina. Dall'oltremare all'oltre-cielo, l'orizzonte separa la trasparenza dall'opacità. Dalla materia-terra allo spazio-luce non vi è che un passo, quello di un salto o di un volo capaci di liberarci per un momento dalla gravità»[15].
E' la distanza-velocità ad abolire la nozione di dimensione fisica, a negare un concetto di spazio: "l'immediatezza dell'ubiquità elettronica conduce all'atopia dell'interfaccia unico".
«Esiste un magma fatto di flussi di informazioni, merci, energia, che costituisce il dato concreto che aggrega un nuovo centro che punta all'affermazione di una neo-gerarchia su scala planetaria, aggressiva, suscettibile di scatenare conflitti d'odio e d'interesse (…) ma esiste anche la possibilità di suscitare eventi anche piccoli che sfuggano al controllo»[16].
Le nuove forme di controllo si presentano come un centro dematerializzato ma pervasivo, un sistema di controllo che riesce ad introdursi subliminalmente nella comunicazione quotidiana, nella vita di ognuno. L'intervento dell'artista deve rendere consapevole questo pericolo e proporre nuove vie per una comunicazione creativa e socializzante. E per far questo la sua arte non può essere nutrita soltanto di conoscenze tecniche ma anche di una riflessione meditata sull'utilizzo delle stesse, per non permettere l'annullamento delle nostre identità, delle nostre culture, delle nostre civiltà.
Ancona, 6 novembre 2004
[1] Keith Haring, Diari, Mondadori, Milano 2001, p. 14.
[2] Gene Youngblood, "Cinema elettronico e simulacro digitale. Un'epistemologia dello spazio virtuale" , in Metamorfosi della visione , Rosanna Albertini e Sandra Lischi (a cura di), ETS editrice, Pisa 1988, p. 31-40.
[3] Seguendo la classica interpretazione di McLuhan.
[4] Una riflessione sul tema è in Mario Costa, L'estetica dei media: avanguardia e tecnologia, Castelvecchi, Roma 1999 e in "I sensi simulati. Comunicazione ed estetica nei media elettronici" di Lamberto Pignotti all'interno della raccolta di saggi a cura di Mario Costa e Paul Ginsborg, Nuovi Media e sperimentazione d'artista, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1994.
[5] Anna D'Elia (a cura di), Artronica. Videosculture e installazioni multimedia, catalogo della mostra (23 maggio-14 giugno 1987), Mazzotta, Milano 1987, p. 114.
[6] In merito vedere Derrick De Kerckhove, "La pelle della cultura: un'indagine sulla nuova realtà elettronica", Dewdney Christopher (a cura di), Costa & Nolan, Genova 1996.
[7] Al riguardo vedere: Sandra Lischi, "Video: da processo a prodotto" , in op. cit ., a cura di Rosanna Albertini e Sandra Lischi, Pisa 1988, p. 18-29.
[8] Anche la Rassegna internazionale di videoarte Arte Video Tv 2000, 16 giugno/9 luglio 2000, tenutasi presso la Salara Arte di Bologna, il Centro polivalente Villa Serena e la Galleria Comunale d'Arte Contemporanea di Castel S. Pietro Terme, si è occupata del problema dell'identità nell'era dei media.
[9] Derrick De Kerckhove, op. cit. , Genova 1996, p. 187. De Kerckhove parla di "point d'etre", in Realtà del virtuale di Pier Luigi Capucci, Clueb, Bologna 1993, p. 13.
[10] Mostra a cura di Bartolomeo Pietromarchi e Maria Grazia Tolomeo, tenutasi a Roma, Palazzo delle Esposizioni 27 giugno/27 settembre 2001.
[11] Vedere articolo "Estetica della tecnologia" di Bruno Di Marino, in «Ars» n. 46, ottobre 2001, pp. 52-53.
[12] Maria C. Cremaschi, "Dalla videoarte all'arte interattiva", in La coscienza luccicante. Dalla videoarte all'arte interattiva, Paola Sega Serra Zanetti e Maria Grazia Tolomeo (a cura di), catalogo della mostra tenutasi a Palazzo delle Esposizioni, 16 settembre/10 ottobre 1998, Gangemi editore, Roma 1998, p. 195.
[13] Riferimento a Jean Baudrillard, L'altro visto da sé, Costa & Nolan, Genova 1987. Vedere anche Jean Baudrillard, "Estetica della disillusione", in Allo Specchio, a cura di Valentina Valentini, Lithos, Roma 1998, pp. 18-30.
[14] "...dell'etere elettronico sprovvisto di dimensioni spaziali inserito nella sola temporalità di una diffusione istantanea", in Lo spazio critico, di Paul Virilio, Edizioni Dedalo, Bari 1998, p.12.
[15] Paul Virilio, La velocità di liberazione, a cura di Ubaldo Fadini e Tiziana Villani, Eterotopia, Milano 2000, p. 21.
[16] Paul Virilio, op. cit ., Milano 2000, p.8.