La Critica

Public Art come Arte Relazionale

RelazionArti, due giornate di studio il 10 e 11 maggio 2007 presso l'Accademia di Belle Arti di Roma ed il Liceo Artistico di Via Ripetta fanno da spunto per una riflessione sulla public art o arte relazionale

di Martina De Fabrizio

"La mia anima sia
polvere lanciata in aria
all'allegria dei venti,
alla coppa del mare!

Lì smarrito e confuso,
fatto non di me,
non più fisso
come un'ombra perduta
".

[Fernando Pessoa, "Il violinista pazzo"]

 

Public art e/o arte relazionale: entrambe forme innovative della socializzazione, della comunicazione e della trasmissione di conoscenze.

L'arte può dirsi pubblica soltanto qualora crei un legame, un contatto con il fruitore. Michel Maffesoli afferma che "le lieu fait lien" [Michel Maffesoli, Notes sur la postmodernité, 1991]: il luogo crea legame. È soltanto nella condivisione dello spazio che l'insieme dei soggetti in transito diventa "pubblico" e si fa interlocutore di un'arte che è al pubblico (in quanto res pubblica ) che intende rivolgersi. Lo spazio urbano, nell'intersezione e sovrapposizione dei suoi non-luoghi, nella definizione che ne dà Marc Augè [Marc Augè, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, 2005], si fa campo di transito.

Forse non è un caso che le due giornate di studio si siano tenute presso la sede dell'Accademia di Belle Arti che, oltre all'ovvietà della pertinenza tematica, è un luogo che si presta ad una lettura semantica del territorio. La Scuola si trova in Via di Ripetta e vi si arriva dal Lungotevere in Augusta, prendendo la Passeggiata di Ripetta, non prima di essere passati accanto al nuovo Museo dell'Ara Pacis. Il fatto che ancora oggi alcune strade di Roma abbiano conservato la dizione di Passeggiata è di una valenza etimologica di non poco conto: dice molto circa l'atteggiamento culturale un po' blasè [Georg Simmel, "Sociology: Investigations on the Forms of Sociation", 1908] e flaneur (nell'accezione che ne dà Charles Baudelaire. Il concetto di flâneur è significativamente presente, inoltre, nell'opera di Walter Benjamin) del passante romano. Un romano distratto e di corsa, che sfreccia in auto accanto alla nuovissima Piazza Augusto Imperatore ma che talvolta si concede il lusso di percorrerla a piedi e allora scorge i luoghi del consumo della piazza: lo store Ferrari, il ristorante Gusto, il Re Cafè, lo shopping center Frau. Ed il Museo dell'Ara Pacis. Questo mostro che "si comunica" (cfr. Isabella Pezzini). Monstrum e mostrare hanno la stessa radice etimologica. Il museo si mostra, si apre. Mostro fatto di trasparenza e leggerezza. Mostro intrinsecamente romano, sin dai suoi elementi costitutivi: acqua e travertino. La luce ed il vetro ne fanno la struttura. L'architettura disegna il territorio.

Piazza Venezia e il Vittoriano, le Scuderie del Quirinale sono il luogo del Potere costituito, sono il Centro. Sono il palcoscenico deputato a cerimonie e manifestazioni. L'architettura è simile a quella magniloquente del fascismo: l'Altare della Patria si impone allo sguardo senza appello alla curiosità e senza inviti al dis-velamento. Così facendo diventa trasparente, indifferente allo sguardo, patrimonio acquisito della cultura visuale. Invisibile. Coetus loci e stimmate della politica.

Si contrappone a tale logica il Museo costruito intorno all'Ara Pacis che nega il Museo nell'atto stesso dell'istituire il museo. In una sorta di embrayage, la struttura si nega per affermazione. Richard Meier denuncia l'istanza autoriale nel gioco tra i vuoti ed i pieni, aprendo alla trasparenza delle vetrate in contrapposizione allo spessore delle mura. Le spesse cinta fondano l'istanza museale che viene immediatamente e contemporaneamente negata dal vetro che mette in comunicazione interno ed esterno, dentro e fuori, museo e strada. Ma le mura, nella loro "bianchezza" assoluta, diventano accecanti e riflettenti. Lo sguardo, "eyes wide shut", scopre sé stesso nel riflesso e vede l'opera nel passaggio, nel transito. Non c'è più bisogno di varcare la soglia della Chiesa, della Cattedrale dell'Arte consacrata dalla critica, in quanto è la Cattedrale ad essersi aperta alla Piazza.

Come nella nuova MetroNapoli, l'arte diventa quella del transito, della fruizione dis-tratta. A Napoli, come in tutti gli happening effimeri e puntuali dell'arte "relazionale", quello che avviene è lo "schianto dello sguardo sull'opera" (cfr. Achille Bonito Oliva).

Il critico - afferma Bonito Oliva - è lo storico dell' istante effimero, del Kairos. L'attimo dell'illuminazione, il baleno della rivelazione, il folgore della trasfigurazione. "Il sentire diventa possibilità kairologica" [Luisa Valeriani, Dentro la trasfigurazione, 2004] nell'istantaneo, nello Jetzt.

Nel transito l'arte pubblica permette un vasto accesso, quasi in una sorta di museo obbligatorio. Il dispositivo spettatoriale diventa quello della sinestesia. Assumono importanza i sensi nel guardare e nel toccare le opere, in rapporti polisensoriali con un'arte invasiva. Nuovi processi di conoscenza diventano possibili attraverso la multimedialità dell'opera e gli effetti dell'arte si fanno "vaporizzati" (cfr. Luisa Valeriani). Si passa dall'attenzione alla dis-trazione, in un continuo rimando tra sfera pubblica e privata.

Mentre Roma vede una netta separazione tra res pubblica e spazio privato, a Napoli il secondo invade la prima in continue invasioni. Non è possibile tracciare alcuna divisione tra scena e retroscena [Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, 1959] e gli spazi pubblici si aprono all'occupazione pacifica, al possesso dell'abitazione. L'arte crea habitat, habitus, nell'accezione che ne dà Pierre Bourdieu: relazioni.

Si assiste alla morte del pubblico "assistito" delle visite guidate, mentre l'arte pubblica intrattiene con il territorio un rapporto di degustazione e contemplazione collettive e l'arte opera uno sconfinamento nella vita attraverso opere totali e happening. Fuori dalla cornice e dal museo, l'arte si fa partecipazione e linguaggio condiviso. Arte come attivazione di processi più che come produzione di oggetti.

Gli spazi pubblici fanno appello ad un pubblico istantaneo e indiretto nel transito ed invocano un rapporto non accademico con lo spazio urbano in trasformazione, bensì un rapporto orizzontale. Così come orizzontali sono le forme di arte urbana quali murales e graffiti.

Derrick De Kerkove parla, a tal proposito, di fenomeni di "vibrazione comune". L'arte, la cultura ed i media fanno da collante per la territorialità, agiscono sull'ambiente sociale e mentale creando nuovi e molteplici brain frame, architetture cognitive. Dall'analogico al digitale fino al glocale, la nostra cultura si situa ora nell'era delle reti, della webness (cfr. De Kerkove).

Le arti (al plurale) intrattengono un rapporto costitutivo con la comunicazione (dal verbo latino communico : mettere in comune, far partecipe, condividere, mettere insieme, partecipare a, essere parte di). Attraverso il pluralismo linguistico che li contraddistingue, i nuovi dispositivi tecnologici fanno sì che le persone si dischiudano all'idea di mondi "altri" la cui diffusione "omeopatica" spiana la strada verso l'era dell'im-pertinenza.

Uno dei mondi possibili dell'impertinenza totale è Second Life, dove la fruizione è immediatamente e immancabilmente partecipazione. Vi si accede in prima persona (laddove il termine latino persona fa riferimento alla maschera) attraverso un avatar che non è rapresentamen [Charles Sanders Peirce, Semiotica, 1980], ma che fa da segno. Significante e significato coincidono senza rimandi altri. Baudrillard insegna: "Dio, l'Uomo, il Progresso, la Storia stessa muoiono a vantaggio del codice, la cui trascendenza muore a vantaggio dell'imminenza, dove quest'ultima corrisponde ad una fase ben più avanzata nella manipolazione vertiginosa del rapporto sociale" [Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, 1976].

Roma, 16 Maggio 2007