di Luigi Ciorciolini
«Le Muse, tutte insieme rispondendo con bella voce, cantano gli eterni privilegi degli dei, e le sventure degli uomini, che essi ricevono dagli dei immortali, vivendo inconsapevoli e inermi; e non possono trovare rimedio contro la morte, e difesa contro la vecchiezza».
Così nell’Inno Omerico ad Apollo si narra come le Muse cantassero al banchetto degli Dei, per intrattenimento, la beatitudine degli immortali e le pene e le sofferenze degli uomini. Nel loro canto rituale le Muse non cantano la crudeltà bensì cantano la "distanza" che intercorre tra il mortale e il non mortale: celebrano il confine tra umano e non - umano, tra la coscienza del sé e l’estraneità dell’altro; sacralizzano l’identità di un gruppo con un rito di fondazione che sancisce l’appartenenza ad una comunità i cui membri possono anche odiarsi ma si riconoscono tutti in una specificità. Il canto delle Muse pone il fondamento di un "punto di vista", quello degli immortali, che possiamo solo immaginare, a cui possiamo aspirare ma che non possiamo "possedere". O meglio, che possiamo possedere ma solo come rappresentazione, come nel caso della prospettiva nell’analisi di Panofsky. Il Principe si pone al centro della prospettiva tra umano e non umano rappresentandosi come soglia sacra e ribadendo la distanza sociale che corre tra sé e tutti gli altri.
E’ il senso della scena del film Rocky nella quale il pugile interpretato da Sylvester Stallone arrivato al massimo dell’allenamento giunge correndo al culmine della scalinata che lo pone in condizione di dominare tutta la sua città: da questa prospettiva, in questo spazio/tempo, in questo "punto di vista" egli è l’eletto, colui che sarà in grado di annullare la distanza tra sé e il campione in carica. Già i sovrani bizantini utilizzavano la distanza dai sudditi con apparati che innalzavano il trono e soffuse luci dorate che aumentavano la sensazione di alterità. Ma saranno i Principi rinascimentali a strutturare a fini di potere la "distanza" dai sudditi: i Trionfi, le Feste e tutte le forme di sacralizzazione tramite lo spettacolo o l’architettura, come più tardi gli interminabili saloni di specchi delle regge, creano quelle eterotopie del potere analizzate da Foucault.
Ancora oggi i messaggi del Presidente della Repubblica e quelli del Presidente del Consiglio dei Ministri giungono da un "altrove" simbolicamente posto in alto. L’eterotopia perfetta, in Roma, è il cortile di palazzo Chigi così come ce lo ha fatto conoscere in tanti anni di servizio la Rai: un cortile di cui non si conosce ubicazione perché ai cittadini normali non è consentito l’accesso e che quindi sfuggendo a una verifica sensoriale di fatto è già un altrove, in cui arrivano macchine blu prevenienti da un altro altrove, macchine da cui discendono ministri che si affrettano verso un successivo altrove. Un cortile che esiste solo nel mondo dei media e dove come cittadini siamo invitati ad assistere ed aspettare restando sulla soglia. E’ l’eterotopia del potere che Pasolini chiamò con espressione felice Palazzi del Potere. L’annullamento di questa distanza è possibile grazie a particolari intercessori o messaggeri dotati di proprietà speciali innate o acquisite che erano Ermes/Mercurio nell’antichità, gli Angeli, i Santi nella religione cattolica, gli amici degli amici in età di tangentopoli.
L’altra forma di annullamento della distanza, di gran lunga preferibile, è la "socializzazione", lo scambio cioè, simbolico e reale, e la condivisione delle cose materiali e immateriali. «Dolce è mirar dalla riva, quando sconvolgono i venti l’ampia distesa del mare, l’altrui gravoso travaglio, non perché rechi piacere che uno si trovi a soffrire, ma perché scorgere i mali da cui siamo liberi è dolce…».
Lucrezio, all’inizio del II libro del De Rerum Natura fonda il medesimo sentimento dell’Inno Omerico in un "punto di vista" umano, dalla prospettiva cioè dello "spettatore del naufragio". L’altro da sé non sono più gli dei, divenuti introvabili, ma la Natura con lo spettacolo della sua forza indifferente. Con questa si confronterà il Sublime riscoprendo nella religione antica che il Primo e Sommo non è il potere che realizza l’atto, come nella religione cristiana, ma l’essere che si manifesta nella forma. I terrori più sacri non provengono dall’immensamente grande e dall’infinitamente potente ma dalle profondità stessa dell’esperienza naturale.
Dal `700 al `900, segnato dalla scoperta dell’inconscio freudiano, è un viaggio in cui la grandezza senza forma transita verso l’ineffabile come l’orrore senza forma transita verso l’indicibile. La storia dell’umanità ci offre diverse vie per superare la distanza: il preparare il terreno per accogliere l’altro da sé con la pratica dell’arte è una. Un’altra ci è offerta dall’estasi, la fuoriuscita dai sensi che liberandoci dai limiti del corpo ci consente la riunione con il tutto. La terza, la più consolatoria, rimane il naufragio oceanico offertoci da Leopardi nell’Infinito, dolce via occidentale al dissolvimento della distanza tramite l’annullamento del Sé.