La Critica

«Porte della Percezione e Spazi Sensibili: la Città Navigabile»

di Luigi Ciorciolini

 

Ci sono caratteristiche, spesso sottovalutate, delle nuove tecnologie di cui forse vale la pena di parlare. Una è sicuramente quella focalizzata da Ejsenstein, dal «Montaggio delle attrazioni» in poi, di rendere espliciti, visibili, alcuni processi della mente umana. Prima o insieme, poco importa, alla psicologia sperimentale la tecnica del montaggio e l’alternanza dei campi di ripresa, cioè della distanza dello spettatore dall’oggetto della visione, ci ha fatto prendere coscienza dei meccanismi della visione che regolano la percezione del movimento e dello spazio.

La seconda caratteristica è quella di rendere visibile quello che l’occhio umano non potrebbe vedere da solo: i raggi X, le foto delle radiazioni delle stelle effettuate dal telescopio Hubble, il microscopio elettronico, le immagini provenienti dai satelliti artificiali, le microcamere a fibre ottiche nel corpo umano, il radar, l’ecografia…uno dei primi a concentrare l’attenzione su questi sviluppi è stato Heidegger parlando della nascita dell’immagine-mondo: «L’immagine del mondo (…) significa quindi non una raffigurazione del mondo, ma il mondo concepito come immagine (…) Non è che l’immagine del mondo da medievale che era divenga moderna; ma è il costituirsi del mondo a immagine ciò che distingue e caratterizza il mondo moderno» (M.Heidegger, Sentieri interrotti, pp 87-89, La Nuova Italia).

Chiunque si faccia un giro in macchina in una qualsiasi città comprende questo passo perfettamente: il suo avanzare nel traffico dipende da una serie di giudizi visivi e uditivi circa la velocità relativa degli altri veicoli, l’umore degli automobilisti che lo seguono, la capacità di calcolo delle traiettorie presunte di scooteristi e pedoni, i nuovi limiti del cinismo umano rappresentati dai tassisti.

Nello stesso tempo il nostro guidatore è raggiunto da altre informazioni: semafori, spie luminose sullo stato di acqua, olio e benzina, spie luminose e sonore sullo stato del segnalatore di direzione, cartelli stradali precettivi, cartelli stradali esortativi, cartelli stradali obsoleti, pubblicità, indicazioni di prezzo dei carburanti, insegne di negozi, ora e temperatura locale, telefonini… siccome questo processo di decodifica e apprendimento viene considerato noioso di solito ci si aggiunge una colonna sonora gestita mediante spie luminose che ci indicano stazione emittente o pezzo scelto.

Diventa difficile proporre a questo collega automobilista la cultura occidentale che ha sempre privilegiato la lingua parlata e scritta come la più alta forma di pratica intellettuale, relegando le rappresentazioni visive al ruolo di spiegazioni scadenti, letteralmente di seconda mano, del mondo delle idee. Ma, d’altra parte, non posso non privilegiare l’esperienza quotidiana nel ragionamento. Arriviamo al fatto: in una visione del mondo illustrata piuttosto che scritta, il nostro starci deriva dalla distinzione dei diversi modi in cui si può realizzare il nostro essere spettatori (il guardare, lo sguardo fisso, lo sguardo rapido, le pratiche di osservazione, la vigilanza e il livello di soglia critica, il piacere visivo, lo stare fermi o il muoversi, avere o non avere la possibilità di interagire e intervenire sullo spettacolo-mondo).

Ancora: in questa esperienza quotidiana del mondo visibile la città diviene una volta di più una formidabile metafora cognitiva. Benjamin ci ha introdotto al salto percettivo dell’epoca della chimica, in cui la riproduzione era importante quanto l’originale; la televisione al salto percettivo successivo, quello dell’epoca dell’elettronica in cui la riproduzione (televisiva) si rende autonoma dall’originale divenendo uno degli originali possibili; il digitale ci porta al salto percettivo che dissolve la contrapposizione tra originale e riproduzione, tra reale e virtuale, creando infiniti e transitori originali.

Lyotard ci ricorda che: «La modernità, a qualunque epoca essa risalga, si accompagna sempre al crollo delle credenze e alla scoperta della poca realtà della realtà, unita all’invenzione di altre realtà» (J-F. Lyotard, Il postmoderno spiegato ai bambini, pp. 18-19, Feltrinelli). Le nuove tecnologie, la loro leggerezza (sia concettuale che di materiali), la possibilità di integrare e gestire, nel comun denominatore del digitale, segnali audio e video diversi, provenienti dal cavo o dall’etere, consentono di rendere fruibili per la comunicazione interattiva superfici mai prese in considerazione prima.

Mai neanche pensate prima, presi come eravamo ad analizzare la fluorescenza del tubo catodico. Liberata dallo schermo televisivo, la comunicazione può avvenire, attivata con un telefonino, su/con qualsiasi superficie e non importa che sia scabra o riflettente, che ci sia luce o ombra. E` un incredibile salto di qualità nella percezione della città: un vero cambio di paradigma, di brainframe.

Improvvisamente la metropoli si offre come infinita e reiterata offerta di spazi comunicativi: i muri ciechi (fino a che non si comincia a guardarli e non li si fa riaffiorare alla percezione non si ha idea di quanti siano), le colonne piatte e grigie della metropolitana, le vetrine scintillanti, i chioschi dei giornali o i chioschi bar, gli spazi tra le finestre al primo piano… Continuamente si rinnova la scoperta che tutta la città si offre alla navigazione, non più sui canali televisivi, ma nell’arcipelago delle isole rappresentate dalle superfici interattive.

Il laboratorio del master in «Progettazione di spazi interattivi per la comunicazione» (promosso dal Dipartimento di Progettazione Architettonica, del Paesaggio e degli Interni della Facoltà di Architettura dell’Università di Roma La Sapienza in collaborazione con la RAI-Divisione Produzione TV e la Ericsson Telecomunicazioni) è il luogo in cui avviene la precipitazione delle sperimentazioni concettuali, materiali e tecnologiche legate alla convergenza fra trasmissione digitale e UMTS; il luogo dove ci si confronta con le reali resistenze dei media alla realizzazione di ambienti sensibili, superfici interattive e telecontiguità.

Si offrono evidentemente due filoni di ricerca che solo apparentemente però sono separati: uno va nella direzione dell’ideazione e concretizzazione di servizi a richiesta da attivare con proprio telefonino e da appoggiare sulle superfici rese disponibili; l’altro, che mi vede coinvolto in maniera più profonda, va verso una nuova definizione dello spazio cittadino e una sua estetizzazione, della creazione di nuove forme di spettacolo in cui, e non è un paradosso, il reale torna nel virtuale. Nuovi canali e nuove possibilità estetiche si offrono al possessore di telefonino a qualsiasi velocità si muova nello spazio cittadino.

Nuovi transiti che si aprono per ciascuno di noi e si chiudono appena siamo passati. Una città segreta si rivela a chi lo vuole, al nuovo flanêr che costruisce la sua città-opera d’arte, sintesi di reale e virtuale, realizzata con un personalissimo montaggio. Il canale generato dalla linea urbana B.B. (Benjamin-Baudelaire) incrocia il canale Montaggio delle attrazioni di Ejsenstein generando infinite sintesi da cardiopalma.

Roma, 9 Ottobre 2002


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