L'occasione è buona, il dibattito alto, il tema importante e gli ospiti hanno qualcosa da dire. Con questo spirito mi avvicino ad una tavola rotonda organizzata all'interno del Festival della Filosofia all'Auditorium di Roma. "Reale, Virtuale, Immaginato: quali confini?". L'argomento è una domanda di capitale importanza all'interno della nostra tardo-modernità, una soglia che si allarga sempre di più, lasciando gli orizzonti possibili sempre più difficili da comprendere e da intuire, quasi fossimo condizionati nella dimensione opprimente dell'attualità, costretti alla passione del presente. Sul palco coordina il prof. Alberto Abruzzese, pensatore-snodo della comunicazione in Italia, poi Enrico Ghezzi, filosofo, critico di cinema ed inventore di Blob, Andrea Camilleri, il brillante scrittore di Montalbano e Lidia Ravera, scrittrice di fama, soprattutto per "Porci con le ali".
Si ragiona sugli statuti del reale, del virtuale e dell'immaginazione, ma quando si tenta di arrivare al nocciolo di questi territori si ha l'impressione che qualcuno tenti di riportare la discussione nella dicotomia annosa e stantia fra Apocalittici ed Integrati, che ha animato il dibattito culturale italiano per decenni. C'è la sensazione che una parte del paese abbia paura dell'ignoto, comprensibile, ma che invece di analizzare e tentare di comprendere, si rifugi in considerazioni facili, tanto da prendere l'applauso nel finale criticando aspramente i reality show. Facile. Resta da capire chi fa ancora fino in fondo lo "sporco" lavoro dell'intellettuale, oppure chi lo abbracci solo come etichetta.
Se proprio vogliamo rimanere nella diarchia reale e virtuale, allora preferiamo le parole di Camilleri che preferisce sempre partire dal dato reale per la costruzione di una storia, e quelle di Abruzzese, che ricorda come: "l'uomo, sin dall'antichità, inventa pratiche per darsi una ragione del reale. Esso è inconoscibile (...) la realtà non è altro che una costruzione del reale". Ma ancora, e forse più determinante, ribadisce: "viviamo un'eccitazione della velocizzazione della possibilità sensoriale, ma è l'eccesso di finzione che ci fa riscoprire la realtà. Il potenziamento tecnologico aumenta la nostra corporeità".
Approfondiamo l'argomento proprio con Alberto Abruzzese attraverso un'intervista.
Mi è sembrato ci fosse un fantasma durante il dibattito. Il codice.
In effetti la mia intenzione era quella di indirizzare la tavola rotonda su questo tema, cercando proprio di raccordare i tre elementi principali, Reale, Virtuale e Immaginato, attraverso i loro codici espressivi. Io parto sempre dal mio forte interesse per il territorio, per le sue piattaforme espressive e da lì nelle sue declinazioni del racconto attraverso i codici digitali. D'altronde proprio dal territorio sono venute fuori quelle esplosioni, quei corto circuiti, che hanno contribuito a far uscire l'arte dalla sua cornice. Penso anche a questa forma di neo-comunitarismo che stiamo osservando, attraversando e che investe i codici nelle sue funzioni e caratteristiche sociali e artistiche.
Purtroppo però siamo arrivati a parlare dei reality show.
Infatti. Forse significa che sono un elemento molto sentito dal paese, o per lo meno da questa platea. Però credo che se ci fossimo trovati in un contesto diverso non avremmo avuto così tanti applausi alle critiche rivolte verso i reality, ma il contrario. Apprezzo di più quando le critiche sono illustrate da fondamenti, come ha fatto Camilleri con le sue definizioni di reale, virtuale ed esponendo il suo modo di lavorare partendo sempre da un dato reale, piuttosto che considerazioni che fanno capo a principi che dicono che una forma è di per sé meglio di un'altra.
In questo modo sembra di essere tornati addirittura più indietro di McLuhan quando affermava che il medium è il messaggio? Al binomio forma-contenuto?
In parte, anche se oggi proprio il territorio si sta facendo portatore di forme e contenuti nuovi. Quando noi vediamo una messa in scena o anche un documentario sulla mancanza d'acqua, allora abbiamo qualcosa che lì comprende, nel suo valore estetico, anche elementi che coprono le funzioni sociali ed istituzionali. Questo spirito e la prassi che ne deriva sono sicuramente legate a questo forte neo-comunitarismo, portatore di valori come l'ecologia o le rivendicazioni del precariato.
E le frontiere nel campo delle espressioni artistiche?
Dopo il grande periodo della videoarte e delle installazioni, davvero sembrava che avessimo trovato l'ultimo confine, soprattutto nell'ottica dell'arte come momento e movimento esplosivo, distruttivo e dissipatorio. Oggi invece sono i linguaggi digitali ad essere la vera frontiera: multimedialità, computer grafica, ecc. Anche quell'accezione dell'arte relazionale e polisensoriale, come la public art. Però non dobbiamo dimenticarci che come moderni viviamo immersi nella dialettica hegeliana, per cui siamo sempre di fronte ad un conflitto, o meglio al conflitto primario.
La gestione del potere?
Esatto. Oggi il mondo è diviso in due: in chi abbraccia la tecnica e la tecnologia come elementi di innovazione e chi invece è portatore di elementi arcaici. Proprio nella realtà, al di là delle interpretazioni ideologiche, c'è una parte del mondo che fruisce della tecnologia ed un'altra che ne è esclusa. Quindi siamo di fronte ad uno scontro che sta diventando un terreno importante.
Ma siamo di fronte a colpi di coda della società di massa, contro l'evoluzione della società del frammento, secondo l'evoluzione delle riflessioni che partono da Benjamin, o c'è altro?
Non credo sia solo questo, credo che questi elementi arcaici si mascherino da società di massa, appropriandosi delle forme, ma che siano fortemente orientati ad un controllo di tipo repressivo, nella convinzione che questo sia l'unico modo per mantenere lo status quo. Forse sono proprio le forme della società di massa che impediscono che lo scontro degeneri anche da noi.
Roma, 12 Maggio 2007